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 Nella foto la  professoressa Calabrese e l'autore Nella foto la professoressa Calabrese e l'autore

Bruno Pomara Saverino ha presentato “RIFUGIATI (I Moriscos e l’Italia)”, all'archivio di Taormina In evidenza

Mercoledì 19 dicembre, nella Sala conferenze dell’Archivio storico di Taormina, si è conclusa la prima serie di appuntamenti con gli “Incontri del Mediterraneo”. Gli appuntamenti sono stati organizzati in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura di Taormina, retto dalla professoressa Francesca Gullotta, e vari enti universitari e di ricerca. Protagonista il Mediterraneo: Mare e Mondo chiuso ma non concluso; spazio di contaminazioni culturali e fondamentale tòpos per la comprensione e l’approfondimento della civiltà europea.Il quarto appuntamento ha avuto quale ospite, il giovane e brillante professore Bruno Pomara Saverino, docente di Storia Moderna presso l’Universitat de València, palermitano di nascita; cittadino europeo per vocazione e per amore della ricerca storica. Una giovane promessa per l’attuale storiografia italiana ed europea, che fa ancora una volta riflettere sull’impellente necessità di dar spazio e voce alle nostre giovani eccellenze, in modo da permettere una visione fresca e non edulcorata da sovrastrutture metodologiche nel mondo della ricerca. Ciò, al fine di consentireuna lettura di fenomeni che sono storici, ma investono la nostra attualità e richiamano noi tutti a nuove responsabilità, in un’epoca come questa, segnata da pessime riletture di eventi. Un’epoca dove ampio spazio è lasciato al dilagante “analfabetismo funzionale” con le annesse derive verso una faciloneria volgare,fatta di idee espresse su ondate emozionali, che poco hanno a che vedere con ciò che accade intorno a noi. Noi, troppo spesso, distratti innanzi ai cambiamenti in corso.

L’incontro è stato egregiamente moderato dalla Professoressa Maria Concetta Calabrese, uno dei motori nell’organizzazione degli “incontri del Mediterraneo” e docente di Storia Moderna presso l’ateneo catanese.

Il professor Pomara Saverino ha presentato RIFUGIATI I Moriscos e l’Italia, edito da Firenze University Press, 2018. Pomara Saverino è vincitore del “Premio Istituto Sangalli” per la storia religiosa e il testo RIFUGIATI, così come espresso dall’autore, «ricostruisce una vicenda poco conosciuta: l’arrivo in Italia di migliaia di esuli Moriscos, discendenti di origine arabo-musulmana, da secoli insediati nella penisola iberica, battezzati a seguito della Reconquista cristiana (1492), sovente accusati di cripto-islamismo e tradimento della patria, infine espulsi e deportati dalla Spagna (1609-1614)».

Il Professore, inoltre, si pone delle domande: «Quali sono gli ostacoli incontrati dai rifugiati nel cammino dell’esodo? Quale il comportamento delle autorità di fronte agli sbarchi? E in che termini i profughi hanno interagito con le popolazioni locali? Domande attuali poste a problemi antichi che l’Italia, nella sua frammentazione politica, ha vissuto già in altre occasioni».

Il testo del professor Pomara Saverino è il frutto – voluto, sudato ed ottenuto con tenacia e metodo, poiché tale è il mondo della ricerca – maturato in sette anni; periodo in cui la passione per le indagini sui Moriscos lo ha condotto negli archivi di Spagna, Inghilterra, Irlanda e Inghilterra, senza tralasciare gli archivi vaticani, naturalmente. Un testo che contribuisce a gettar luce sulla presenza dei Moriscos in Italia, compresa quella del Sud.

Il 1492 segna un momento storico, che con la Reconquista, la scoperta delle Americhe e il nuovo assetto economico-politico-sociale che ne conseguirà, apre alla storia in chiave “moderna”. Il lavoro di ricerca, di Pomara Saverino, prende avvio a partire dal 2011 e si conclude nel 2018, con l’uscita del testo. Certo è che di una conclusione “aperta” si tratta. Infatti, il mondo della ricerca non si presenta per dogmi ed assiomi ma si nutre di ipotesi, verifiche; soste e nuove partenze. Del resto, se così non fosse, oggi saremmo convinti che la terra sia piatta e che Gesù non fosse ebreo – restando in tema d’argomenti, tornati alla ribalta –;tuttavia, con il prezioso contributo di menti illuminate, siamo ancora in grado di un giusto discernimento tra le idee da propaganda e i fatti storici.

RIFUGIATI porta con sé in dono la visione del pensare storicamente, e lo consegna a noi, costringendoci a riflettere su come ciò che è stato, riaccada, com’è nella natura dei percorsi umani e nelle manifestazioni antropiche. I Moriscos possono essere inquadrati nell’ottica dei “rifugiati” a dispetto dei dubbi posti da taluni storici modernisti. L’excursus di Pomara Saverino si riallaccia al concetto di “rifugiati”, emerso già a partire dal XVII secolo.“Rifugiati”, ad esempio, erano detti gli Ugonotti, ma il termine “rifugiato” si ritrova anche nei dispositivi giuridici della Grande Guerra, sino ad acquisire, valenza internazionale e con caratteristiche umanitarie, con la Convenzione di Ginevra, dove è scritto:

«Chiunque nel giustificato timore d'essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi».

La forza del messaggio – contenente una grande provocazione – di Bruno Pomara Saverino, è tutta in quel RIFUGIATI, che proviene per diretta discendenza dal latino“Refugĕre”: verbo transitivo e intransitivo; il cui significato, ha aperto, apre ed è destinato ad aprire scontri dialettici, nonchévarie considerazioni, sul nostro essere una differente umanità, ricca nell’accettazione dell’alterità.

Lisa Bachis

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  • Il viaggio di Dante al ritmo di Jazz all’Odéon di Taormina

    La programmazione “Autunno all’Odeon” della “Fondazione Taormina Arte Sicilia” – che avrà termine domenica 20 ottobre –, ad ogni spettacolo, ha riservato non semplici emozioni ma occasioni di riflessione che vanno al di là della messa in scena per intrattenere. Gli spettacoli, dal teatro alla musica alla danza, sono stati autentici percorsi in cui chi assiste ne esce trasformato. Così è stato, lo scorso giovedì 10 ottobre, con “Note dell’Inferno – Dante in Jazz” di e con Gigi Borruso. Uno spettacolo sperimentale che ha tradotto – nel senso del traghettamento – il viaggio iniziatico e gnoseologico dantesco. Qui, «le improvvisazioni e i virtuosismi musicali di Diego Spitaleri e Fabio Lannino» hanno dato luogo a «un gioco letterario e musicale, ironico e delicato, che intende esaltare la dimensione musicale della “Commedia”, interpretando l’opera dantesca in tutta la sua pregnanza linguistica e semantica, attraversata dagli scarti e dalle improvvisazioni del jazz».

    La voce chiara e plastica di Gigi Borruso si è fatta essa stessa strumento accompagnando la riscrittura musicale di Spitaleri e Lannino. La biografia di questo eccezionale interprete parla manifesto e non lascia spazio a cattive traduzioni:

    «Formatosi alla Scuola Teatro di Michele Perriera, entra a far parte della compagnia del Teatés, dove è protagonista del teatro di Perriera fra gli anni Ottanta e Novanta. Si è dedicato anche alla didattica teatrale insegnando presso diverse realtà siciliane. Dal 1995 al ‘99 collabora intensamente con il “Teatro Biondo Stabile” di Palermo, sotto la direzione di Roberto Guicciardini come protagonista in alcuni dei più noti spettacoli del maestro toscano. Collabora con la RAI, sin dagli anni Ottanta, come attore, doppiatore, programmista-regista».

    Il viaggio ha condotto, passo dopo passo, gli spettatori a sentire con corpo e mente ciò che si prova ad attraversare i gironi danteschi. E se Dante, con l’ardire e l’ardore delle terzine e delle figure retoriche e della filosofia che è canto poetico, stenta a trovare “il giusto dire” già nel  Canto I

    Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

    tant’era pien di sonno a quel punto

    che la verace via abbandonai

    immaginate quale scalata verso la conoscenza ci abbiano offerto Borruso, Spitaleri e Lannino. Tanto che, più seguivo lo spettacolo, e più avevo certezza che “Note dell’Inferno” andrebbe incluso nell’attività didattica delle scuole. A questi ragazzi, attratti da fumi virtuali e distratti da mille rivoli di scintillante vacuità, si potrebbe fare assaporare “il verbo rivoluzionario” del Poeta, secondo il modulo di una differente interattività dato non da una LIM, bensì fornito dalla riscoperta dell’ascolto della parola. Parola che si fa suono, ritmo e canto nel valore pedagogico che teatro e musica custodiscono da sempre, sin dal seme delle origini. In tempi poveri di spirito, intrisi di fretta perbenista e di filantropia da tavola calda; in un mondo largo di impulsi e stretto nell’individualismo. In una società imbottita di anestetici nonostante il bombardamento mediatico –, che ci rende intontiti e apatici innanzi alle vere bombe e ai massacri –, in questa società, si dovrebbe ripartire da ciò che si è abbandonato negli sgabuzzini del vintage, e riattualizzare un modo antico dell’insegnare, legato alla cultura dell’oralità. Immaginateli i ragazzi che ascoltano dell’amore che ha le sue regole e va contro le convenzioni pur se queste conducono alla condanna senza appello. Loro, che ancora sanno tirarsele fuori dal petto quelle emozioni e sanno qual è la vera radice della rivoluzione. Immaginateli, nel momento in cui Dante prova compassione perché riesce a veder oltre e sa che l’amore abbatte le barriere del giudizio. Eccolo là, alla domanda fattagli dalla sua Guida, Virgilio, nel Canto V:

    Quand’io intesi quell’anime offense,

    china’ il viso e tanto il tenni basso,

    fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».

     Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,

    quanti dolci pensier, quanto disio

    menò costoro al doloroso passo!».

          Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,

    e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri

    a lagrimar mi fanno tristo e pio».

    Il teatro e la musica devono trovare più spazio nelle scuole, insieme alla poesia. L’attualità contenuta in questi versi ci dovrebbe far vergognare e piangere delle nostre umane miserie; ai ragazzi di questo dobbiamo tornare a dire. Borruso, Spitaleri e Lannino ci hanno offerto una diversa chiave di lettura della “Commedia”. Lo hanno fatto sino a che, anche noi, non abbiamo compiuto la prima tappa del viaggio, che si conclude con il Canto XXXIV:

    Lo duca e io per quel cammino ascoso,

    intrammo a ritornar nel chiaro mondo;

    e sanza cura aver d'alcun riposo,                          

    salimmo sù, el primo e io secondo,

    tanto ch'i' vidi de le cose belle

    che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.                  

    E quindi uscimmo a riveder le stelle.

    A chi, invece, modula le varie sfumature del linguaggio in veste di scrittore, attore, sceneggiatore, regista, musicista, mi preme citare ciò che Pavese scrisse in “Ritorno all’uomo” nel 1945, poiché noi tutti abbiamo una grande responsabilità: quella di Essere Umani.

    «Parlare. Le parole sono il nostro mestiere. Lo diciamo senza ombra di timidezza o di ironia. Le parole sono tenere cose, intrattabili e vive, ma fatte per l’uomo e non l’uomo per loro. Sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene. E ci accade che proprio per questo, perché servono all’uomo, le nuove parole ci commuovano e ci afferrino come nessuna delle voci più pompose del mondo che muore, come una preghiera o un bollettino di guerra. Il nostro compito è difficile ma vivo. È anche il solo che abbia un senso e speranza. Sono uomini quelli che attendono le nostre parole, poveri uomini come noialtri quando scordiamo che la vita è comunione. Ci ascolteranno con durezza e con fiducia, pronti a incarnare le parole che diremo. Deluderli sarebbe tradirli, sarebbe tradire che il nostro passato».

    Lisa Bachis

  • TAORMINA. All’archivio storico, la sesta edizione di “Immagini & Parole” a partire dal 25 ottobre

    Per il sesto anno consecutivo, Taormina incontra la Fotografia. L’Associazione Fotografica “Taoclick” ripropone “Immagini & Parole”, una serie di incontri con i fotografi contemporanei siciliani, forte del successo riscontrato negli anni precedenti, presso la Saletta Conferenze dell’Archivio Storico di Taormina.

    Saranno nove, con cadenza bisettimanale, gli appuntamenti in calendario a partire dal 25 Ottobre 2019 fino al 7 Febbraio 2020. Sarà l’ennesima occasione per gli appassionati e gli amanti dell’arte fotografica di scoprire come i fotografi sappiano raccontare i temi più coinvolgenti della contemporaneità, ognuno dal proprio punto di vista, restituendoci con le loro fotografie una visione unica e personale del mondo intorno a noi.  Siamo sempre stati dell’opinione che parlare di fotografia sia come sedersi tutti insieme attorno a un focolare, in quanto la fotografia deve continuare a essere un linguaggio universale. Linguaggio che permetta a tutti di raccontare, di dialogare, di confrontarsi e di rispettarsi. Consapevoli che dietro la macchina fotografica, c’è sempre prima la persona e poi il fotografo. La persona con i suoi dubbi, i suoi tormenti, i suoi pensieri; con i suoi silenzi, le sue gioie, la sua bellezza. Spazieremo dall’infanzia rubata di “A.T.” della palermitana Laura Tellini al racconto introspettivo sulle donne del nucleo familiare di Ornella Mazzola dal titolo “Females”. Fia Zappalà presenterà il suo lavoro in progress “Gente di Sicilia” mentre Gaetano Belverde ci racconterà i suoi “Skin Tales”. Chiuderemo il 2019, con il progetto fotografico che va nel profondo di un’arte antica: “L’anima dei Pupi” di Alessandro Ingoglia. Sam Formichetti con le sue foto che ci mostreranno la spaventosa realtà vissuta in prima persona in “Bucarest e i segreti sotterranei” aprirà il 2020 e a seguire, ci sarà Peppe Gambino con l’intima storia di Luna dal titolo “Suddenly”. Enrico La Bianca e Attilio Scimone presenteranno invece un doppio progetto dai titoli “in-CONTRO-al-LA-LUCE“e “ALLUSIVA eccentrici sguardi atemporali”. Infine, chiuderemo il 21 febbraio 2020 con “Antologia in bianco e nero” del fotografo messinese Enrico Borrometi.

     

    Questo in dettaglio il calendario degli incontri :

    25/10/2019 Laura Tellini

    08/11/2019 Ornella Mazzola

    22/11/2019 Fia Zappalà

    06/12/2019 Gaetano Belverde

    21/12/2019 Alessandro Ingoglia

    10/01/2020 Samuele Formichetti

    24/01/2020 Giuseppe Gambino

    07/02/2020 Enrico la Bianca e Attilio Scimone

    21/02/2020 Enrico Borrometi

    Tutti gli incontri si terranno, con inizio alle ore 17:30, presso la Saletta Conferenze dell’Archivio Storico di Taormina, in Via Teofane Cerameo.

     

  • L’Odéon di Taormina ha accolto in un immenso abbraccio l’Orchestra a Plettro

    Sabato 5 ottobre, clima d’autunno siciliano. La città è effervescente di turisti, soprattutto stranieri, curiosi di tutto ciò che è nostra tradizione, storia, costume, vita vissuta. Questo è stato il nutritissimo pubblico che ha riempito la cavea dell’Odeon di Taormina insieme ai sempre affezionati taorminesi, che mai si perderebbero un concerto della “loro” orchestra. Un teatro, l’Odéon, che ha rimandato intatte tutte le vibrazioni musicali e la gioia che il pubblico ha provato nell’eccellente esecuzione, diretta dal Maestro Antonino Pellitteri.

    L’introduzione della storica realtà taorminese, è stata affidata a Milena Privitera – responsabile ufficio stampa di “Taormina Arte” –; anche questo concerto infatti è inserito nel programma degli spettacoli di “Autunno all’Odéon”. La giornalista ha evidenziato l’importanza rivestita dall’Orchestra, all’interno panorama culturale cittadino, presentando il suggestivo programma offerto al pubblico:

    «Fiore all’occhiello della città l’Orchestra – fondata agli inizi del secolo scorso da alcuni musicisti taorminesi – si è evoluta lungo il corso degli anni diventando una realtà stabile, richiesta in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti. Dopo il successo dello scorso anno, verranno riproposti alcuni tra i grandi classici del suo repertorio. In un immaginario viaggio musicale tra classico e moderno, tradizionale e contemporaneo, dalle note del celebre “Intermezzo” tratto della “Cavalleria rusticana” di Mascagni, alla scelta tra le belle colonne sonore, scritte da compositori come Ennio Morricone. Ad antiche e tradizionali romanze siciliane saranno alternate nuove composizioni di autori siciliani contemporanei. Tra i brani in programma, anche una composizione del musicista taorminese Pancrazio Gulotta scritta nel 1961 appositamente per l’Orchestra a Plettro Città di Taormina. In programma, inoltre, musiche di Sollima, Incudine e Pullara, compositori siciliani contemporanei ma anche la celebre mattinata siciliana “E vui durmiti ancora” e celebri canzoni della tradizione partenopea».

    Un concerto non solo affollato ma carico di gioiosa umanità. Ci si sentiva a casa. Il pubblico ha apprezzato i virtuosismi dei concertisti e di più ha sentito le “buone vibrazioni”, in un’esplosione di suoni e canto. Infatti, per la prima volta, insieme all’ Orchestra, la Soprano Francesca Adamo Sollima. Bellissima donna che, con grazia, eleganza e manifesta bravura, ha donato tecnica e cuore.

    Elisabetta Monaco, presidente dell’associazione “Orchestra a Plettro Città di Taormina – nonché musicista in seno alla stessa come liuto cantabile – in merito all’importanza che questa realtà ha per loro, ha risposto:

    «I musicisti della nostra orchestra, sia amatoriali che professionisti, sono motivati esclusivamente da una grandissima passione. Per noi, l’Orchestra, prima di tutto, significa condivisione e poi ancora apertura e confronto, impegno e studio, aggregazione e affiatamento. Significa tenere sempre viva una lunghissima tradizione tutta taorminese, tramandando ai più piccoli la stessa nostra passione. Quella che è stata dei nostri maestri. Significa essere felici di regalare emozioni al nostro pubblico. E significa portare e far rimanere, nel cuore di chi ci ascolta, il nome della nostra Taormina».

    Tuttavia, fra tutti, il primo a essere commosso, per aver avuto ancora una volta l’onore di dirigerla, è stato il Maestro Pellitteri, il quale ha mostrato viva gratitudine verso la “Fondazione Taormina Arte Sicilia”, per lo spazio e il valore dato all’Orchestra.

    Lisa Bachis

     

     

     

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