Di recente, sono stata in giro in compagnia di amici, in alcuni luoghi etnei. Come sempre, rimango piacevolmente sorpresa dalla bellezza di questi posti dove l’Etna, “a Muntagna”, è considerata Madre Benedetta. Naturale, visto che il patrimonio di saperi, di cultura storica e di ricchezze legate all’economia, è vincolata alla terra fertile, a quelle radici, che qui sono bene ancorate al suolo. In questi anni, ho visto crescere l’economia di questi paesi: da Linguaglossa a Piedimonte; da Randazzo, a Milo a Zafferana. Lo spirito imprenditoriale qui non è in crisi, nonostante la crisi del settore agricolo abbia penalizzato tutti e la crisi in generale, abbia lasciato il segno. Sarà perché qui, si è abituati a ricostruire. Il vulcano, se decide di regalare primizie e benessere, può togliere tutto in breve tempo. In questi paesi, sono abituati a rimboccarsi le maniche, quando cade la terra nera, ciascuno di loro sa già che si dovrà pulire e spazzare le strade. Se la lava porta via il lavoro di generazioni, si versano lacrime amare ma ci si impegna nella ricostruzione. Ho avuto ancora una volta il piacere di gustare i prodotti, “la grazia di Dio”, di questi posti: dalla ricotta fatta in casa, ai carciofi, alla pasta ripiena col pistacchio e tante cose buone. Ho bevuto il vino che mantiene colore sapore pulito e schietto; bello pieno come il Nero D’Avola o più da convivio, come il Nerello mascalese. Il buonumore quando si mangia e si beve bene, viene spontaneamente, rinsalda i vincoli d’amicizia e induce alla riflessione sulla vita. Ho incontrato persone che nello svolgimento del proprio lavoro, pur se faticoso e duro, erano liete di regalare un sorriso e fiere di appartenere a quelle terre. Ho ammirato giardini ordinati e circondati dalle antiche colate laviche. Ho apprezzato il clima familiare che si respirava. Percorso il tragitto alberato, che lega Milo a Zafferana, ho avuto per l’ennesima volta modo di constatare come questi paesi siano puliti, accoglienti. Sì oramai è noto a tutti che a Zafferana ci sia un’ottima amministrazione e che qui la raccolta differenziata non sia sacrificio ma vanto. In una domenica pomeriggio, nella piazza del paese, accanto a quelli del posto, mi sono ritrovata con turisti stranieri e gente giunta da fuori, per godersi l’allegria e curiosare tra le bancarelle del mercatino dell’artigianato. E osservando con attenzione chi mi stava attorno, ho capito il motivo di quella scelta, di quello “stare lì insieme”. Rilassarsi in semplicità, magari qualcuno potrebbe pensare che sia un modo troppo “rustico e paesano” tuttavia, chi era lì come me, cercava esattamente questo, ovvero l’essenza del posto. Certo, direte voi, noi siamo di Taormina, una delle mete turistiche più frequentate al mondo, siamo conosciuti e dobbiamo offrire accoglienza e servizi al “top” ma, perché c’è un “ma”, io ho ricevuto conferma che nei paesi come quelli etnei, non hanno rinunciato ad un ingrediente fondamentale, che fa la differenza e ne contribuisce alla ricchezza. Quest’ingrediente, è l’orgoglio di sentirsi parte di una comunità, fieri di essere comunità. Desiderosi di trasmettere agli ospiti le proprie memorie e felici di condividere sapori, odori, costumi. In una parola: tradizione. L’orgoglio di sentirsi parte di una comunità, non vuol dire rinunciare al perfezionamento e al miglioramento dei luoghi, al contrario, il luoghi a cui si sente di appartenere, sono valorizzati e rinnovati anche con l’ausilio della tecnologia ma la cosa fondamentale, è che non hanno perso l’anima. E se poi, si aggiunge anche la soddisfazione, di sentirsi fare i complimenti perché «il servizio è ottimo ed i servizi igienici sono puliti», l’orgoglio di sentirsi una comunità, si rinsalda e le radici affondano un po’ di più nel suolo ricco.
E quindi, mi sono ancora una volta chiesta: «Dove abbiamo messo noi, l’orgoglio di sentirci parte della nostra comunità?»