Avete presente quando siete al cinema? Sapete già che il film che vi piace tanto sta per avviarsi alle battute finali però fareste di tutto per fermare il tempo.
I viaggi sono allo stesso modo, sai che tornerai a casa e ne sei felice ma una parte di te è inchiodata ai luoghi che hai visitato e vissuto, non vorresti staccartene. Gli appuntamenti di maggio di “CAMERE CON VISTA” si sono chiusi con Vittorio Aulenti e Carmelo Eramo, uomini vaganti tra Basilicata e Puglia tra andate e ritorni. Il format è nato da un’idea di Rocco Bertè coadiuvato nella moderazione da Roberto Mendolia; sostenuto alla regia da Alfio Barca e Augusto Filistad con il compito di monitorare gestire il dietro le quinte. Vite che accolgono altre vite, in semplicità e senza la presunzione di essere i più bravi. Incontri che si svolgono all’insegna dell’amicizia e del comune amore per la fotografia. L’amore è ciò che fa da collante, senza quello non andremmo da nessuna parte. Mi piace sempre ricordarlo a me stessa e agli altri, oggi più che mai, in una società che sembra privilegiare i vuoti a perdere e senza il reso, come al contrario si faceva un tempo dove tutto era risorsa e nulla si buttava via, anche perché da buttare si aveva ben poco. Le conversazioni intorno, in mezzo e lateralmente all’universo fotografico hanno anche tale finalità: conservare e custodire con l’ausilio evocativo delle immagini. “JonicaReporter”, diretto da Valeria Brancato, è media partner in questa nuova sfida, ricca di grandi soddisfazioni per tutti gli attori e le comparse; il lavoro duro, la fatica e l’umiltà restano le basi su cui fondare il senso di ciò che con impegno si sta portando avanti. Il viaggio di “CAMERE CON VISTA” sta pian piano sfumando verso la conclusione vi sono le scene finali e vi terranno inchiodati allo schermo sino alla fine.
Giovedì 28 maggio, ha aperto la settimana Vittorio Aulenti che di sé ha raccontato:
Sono nato a Matera, nell’Italia meridionale, nel 1988. Provengo da studi classici, ed ho scelto gli studi biomedici all’Università di Pisa, dopo. Ho sempre amato i contrasti, insomma. Ora fotografo per documentare, adoro descrivere il mondo e i comportamenti umani in modo frastagliato e nitido, il tutto con uno sfondo sognante di ironia. Qualche anno fa ho iniziato a lavorare con il bianco e nero, che rappresenta per me il modo migliore di fotografare e rendere la realtà per quello che è: bella, imperfetta, difficile.
Tra le sue pubblicazioni si ricordano:
– Pubblicazioni online 2013-2018: “Vogue”, “Inspired Eye”; “National Geographic”; il libro Matera 2019.
Aulenti sta per ultimare il progetto Ho visto Nina volare nato nel 2019 e sempre nel 2019, ha iniziato il percorso di studio di fotogiornalismo con Valerio Bispuri a Roma. Dall’aprile di quest’anno, è socio fondatore del collettivo di fotografia “GRAM”, insieme a Giacomo Greco e Romano Antonio Maniglia.
Lo stesso Aulenti entrando nel merito ha dichiarato:
“GRAM” nasce dall’unione di tre fotografi nell’aprile 2020, in un momento singolare e delicato della nostra storia, da una concezione condivisa di fotografia. È un concetto di reportage che si sviluppa in profondità, e trae ispirazione proprio dalla ricerca costante di quest’ultima. Direttamente dalle storie di persone di fronte a noi, cresce tra le loro parole senza fretta, viene lentamente disegnato in base alle sensazioni e ai racconti che un paio di occhi descrivono e regalano. È la nostra passione più grande alla fine dei conti, il nostro lavoro senza compromessi. La nostra vita, in breve.
Prima di proseguire per accompagnarvi in questa tappa del viaggio di “CAMERE CON VISTA”, dato che io non svolgo la funzione della cronista ma piuttosto mantengo volutamente l’andamento della narrazione tra registrazione di ciò che vedo e ascolto, e ciò che introspettivamente mangio, digerisco e metabolizzo per nutrire un’interiorità a metà strada tra le budella e il cuore, posso già affermare che sia Aulenti che Eramo mi hanno dato filo da torcere e le viscere si son torte in una stretta di emozioni tanto potenti da farmi pensare che mi fosse tornata la gastrite per i crampi che ho avuto. In realtà, e non mi vergogno a dirlo, anzi ne sono fiera come sono fiera delle mie origini bastarde tra Sardegna e Sicilia, tra mondo contadino e agropastorale e mondo di gente che ha lavorato in ferrovia, fino ai miei genitori che hanno fatto gli infermieri prendendosi cura degli altri, questi due mi hanno di nuovo buttato dentro alla mia infanzia, alla mia giovinezza: alle perdite, alle assenze e alle presenze, quelle che sono rimaste e quelle dei fantasmi che benevolmente mi tengono ancora d’occhio, perché ho sempre pensato che se gli angeli esistono, una parte di loro è tra i fantasmi. Eramo con le sue sedie vuote, che poi vuote non lo sono mai veramente, me l’ho ha fatto tornare alla mente. Ma torniamo ad Aulenti che, invece, tra rievocazioni poetiche di odori di cucina mescolati agli odori dei corpi di nonne e mamme e frammenti di vita, la sua e quella delle persone che ama, mi ha fatto sentire addosso e dentro quel mio desiderio sempre cercato di poter stringere mio padre. Non è possibile, e questo è il periodo del “countdown” che culminerà a breve in un giorno di giungo, solo che non sarà Capodanno ma l’anniversario di una perdita. Un nuovo anno aggiunto ai precedenti che son tanti e son troppi. Entrambi, Aulenti ed Eramo mi hanno invitato a questo percorso, così come lo hanno fatto anche altri fotografi prima di loro. Stavolta, però fa più male, è giusto che lo sappiano per dovere di cronaca, la mia; che non registro ma vivo ciò di cui sono parte. E mi verrebbe voglia di chiuderlo qui questo approfondimento per andarmene a piangere in uno dei miei rifugi. Non lo farò, meritano tutto lo spazio necessario tra parole e silenzi.
Perciò torno ad Aulenti e parto da Ho visto Nina Volare, ma lo faccio lasciando a lui le parole Lui che sa scrivere bene oltre a saper fare buona fotografia, come lo è il pane appena sfornato e poi condito. Gliel’ho detto e glielo dirò in un sostegno costante: «Vittorio sei bravo e devi volare come vola Nina perché le tue parole non tolgono e non aggiungono alle fotografie. Prosa poetica, poesia in prosa o verso libero? Io vedo ciò che scrivi e che fotografi come una schietta stretta di mano». Ho visto Nina Volare si apre con i versi di De André dedicati a Nina Manfieri, amica d’infanzia, che tanto lo aveva affascinato su quell’altalena.
“Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall’altra la cera
mastica e sputa
prima che metta neve.
Ho visto Nina volare
tra le corde dell’altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena”
Aulenti nel presentarlo ha scritto:
Questo è il mio lavoro degli ultimi mesi: è quasi completo, ormai. Neanche l’immaginate la voglia che ho e il bisogno, di scendere per quelle strade ventose ed entrare in quelle case buie del piano terra e ascoltare racconti contorti e stringere mani ruvide e guardare nel mirino della mia macchina storie bellissime che spero non scompaiano mai. È questo il senso di tutto. Che si abbia o meno, la capacità di masticare delle fette di favo per ore, riuscendo a separare il miele dalla cera, solo il tempo è in grado di dirlo. Come per Matera. Nel 2019 diventa capitale della cultura europea, con una presenza di 700 mila turisti al posto dei quasi 200 mila del 2010. Vengono investiti 48 milioni di euro per la realizzazione del programma culturale e degli eventi. La città cambia pelle, dai negozi, alle attività, alle semplici case disabitate che danno vita a bed and breakfast e case vacanze. Nascono i primi supermarket orientali, viene risistemata la stazione centrale, che vera e propria stazione non è, perché a Matera il treno non è mai arrivato. Il futuro di questa città è “Open”, come recitano gli slogan sulle bandiere della festa, come a dire chi vivrà vedrà. Queste foto sono una documentazione del cambiamento e una descrizione ironica di come lo scenario per le strade cambia, tra la gente del luogo e gli oggetti, i turisti. Di come cambia da dentro, nelle attività nate per questo momento, nelle case. È una sorta di esperimento sociale: Matera da docile città capoluogo di provincia sorniona e silente, si ritrova sotto i riflettori e al centro dell’attenzione di tutta Europa. Separare la cera dal miele, è riuscire a non perdere lo spirito di un luogo, la sua essenza, e a trasformare uno sviluppo improvviso ed enorme in investimenti e scelte giuste per il futuro. Nina vola ancora, sulla sua altalena arrugginita. E io non smetto di cercarla. È lo spirito ed il volto di una donna, di una città. È la passione che vola via dai muri di tufo mentre si sgretolano al vento della sera, è il geco immobile sotto le luci arancio dei lampioni, è il silenzio assordante della gravina nei giorni d’estate. È la luce ambrata dei pomeriggi di Marzo che squarcia le chiese e la cattedrale. È amore, credo di questo si parli, alla fine dei conti.
Cosa dovrei aggiungere io di più? Aulenti è un autore l’ho detto ad esempio anche per quell’impunito di Rogika. Hanno la scrittura nel sangue insieme alla fotografia. Non me ne voglia Eramo, che già da qui vedo far “no” con il capo, avendo lui con ferma ostinazione espresso il suo essere contrario alla mescolanza dei generi: parole e immagini, sovrapposizione forzata. Giusta e da prendere in seria considerazione la sua riflessione. Gli sconfinamenti e le forzature sono dietro l’angolo pronti a invadere il campo con poca eleganza. Qui, tuttavia, mi permetto io di dissentire da Eramo, siamo in un campo autoriale in cui i due piani si completano e si fondono in modo naturale e spontaneo, dando luogo a un modo differente di intendere scrittura e fotografia: siamo già dentro alla letteratura fotografica, che a mio avviso sta donando buoni frutti.
Bisogna vederlo e rivederlo Ho visto Nina volare per tornare a sperare che ci siano ancora semi da piantare nella terra e da veder crescere sino a toccare il cielo. Aulenti, timido, in realtà non avrebbe voluto parlar di sé. Ma non si può evitare di mettersi dentro e in mezzo alle cose che si fanno, quando già da lungo tempo si è compreso che nemmeno il Verismo è riuscito a far sparire l’autore e che va bene far vedere e dire, altrimenti l’anima di chi fotografa dove la si rintraccia? Certo, potrebbe restare muta come è sua natura, l’anima, oppure potrebbe iniziare a fischiettare una canzone dell’infanzia. Forse è solo una questione di beccare la giusta frequenza, chissà?! Il fotografo in questo è stato assai coraggioso e ci ha permesso di entrare dentro la sua casa e i suoi affetti, mostrando come si può far buone foto anche negli ambienti più intimi, perché poi è il messaggio che si vuol trasmettere che conta. Punto di contatto tra Aulenti ed Eramo. In entrambi, ritroverete questa delicata intimità, pur nei contrasti dello stile adottato. In One step beyond, Aulenti asserisce:
«Se non si può guardare fuori, allora inizi a guardare dentro», ho scritto qualche giorno fa. Ho deciso di cominciare a documentare in ogni maniera possibile tutto quello che sta accadendo, ma nella sua parte più intima, interiore e silenziosa. La somma dei giorni che si ammassano l’uno sull’altro, senza conoscerne il totale che sarà, la ricerca ad ogni costo della luce. Una storia di quarantena, fino alla sua fine: la documentazione dei sentimenti e dei pensieri più profondi.
Non mi va oggi di descrivervi le immagini che mi hanno colpito di più, andate a rivedervi le dirette “Facebook” di “CAMERE CON VISTA”; tutte dalla prima all’ultima perché ogni fotografo ospite ha dato tanto a tutti noi. Invece di guardare i video delle conferenza stampa di “Giuseppi” o di “Gigetto” o di quell’altro, che non voglio nominare perché mi provoca il reflusso, guardatevi le registrazioni e vi sentirete meglio, ve lo assicuro!
La narrazione di Aulenti prosegue con Il mondo nuovo (ongoing):
Il racconto continua all’esterno. La fase due dell’emergenza in Italia, ovvero una progressiva riapertura delle attività commerciali e un graduale ritorno alla normalità. È un po’ come cercare di dar fiducia a qualcuno che nella vita ti ha tradito: ci riprovi ad essere normale, è nell’indole umana la capacità di adattarsi alle situazioni e il volerle superare anche. Credo sia questa la situazione attuale. Eppure lo sguardo è quello tipico di chi indaga, e l’animo è teso e ingessato; il fare maldestro e ansioso di chi cammina avanti e dietro con le mani dietro la schiena e si aspetta di scoprire da un momento all’altro una falla sul fondo della sua vecchia nave di legno rattoppato, proprio dopo aver superato una notte di tempesta. Ma c’è una strana delicatezza tutt’intorno, non so spiegarvela. È qualcosa di molto simile ad una primavera che nessuno ha ancora guardato. È una donna bellissima che si sveste da sola in una stanza vuota, ed un uomo che non si accorge di lei e passa oltre nel buio di un lungo corridoio con gli occhi chiusi. Qualche volta, in queste sere calde e afose da morire, capita che ti raggiunge l’odore del gelsomino o delle zagare, ed è bello. Ma c’è una specie di distanza inconscia che si mette di mezzo. È una domanda irrisolta, un dubbio. È come ascoltare un “ti amo” detto con timidezza e spontaneità e non sentire nulla. Sentirsi costantemente sfiorati dalle cose, che passano accanto a noi e vanno avanti senza voltarsi. E noi qui che le guardiamo di spalle in silenzio, mentre ci riscopriamo finalmente umani, terribilmente e schifosamente umani. Matera, Maggio 2020.
Quando ho chiesto a Vittorio di dirmi, quanto e se il cinema lo avesse in qualche maniera influenzato, perché le sue foto possiedono un’impostazione di fotografia di scena, mi ha risposto che l’influenza gli proviene semmai, non dal cinema, ma dalla letteratura essendo “un lettore appassionato”. Quindi, tra gli altri, ha giustamente citato Carlo Levi, cosicché poi in privato, scambiandoci idee e considerazioni sulle nostre attività, gli ho detto che con quell’uscita lì mi ha bruciato una domanda, e ci siamo messi a ridere. Questo è il bello delle dirette e della spontaneità che abita “CAMERE CON VISTA”. Perciò, mi guarderò bene dal citare l’importante filmografia che interessa la Basilicata e Matera unendo il percorso di Aulenti a quello di Eramo con un passo di Cristo si è fermato a Eboli
«In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli».
Carmelo Eramo ha chiuso maggio. Domenica 31, generosamente e con molta sensibilità, ci ha fatto vedere la Puglia e la Basilicata, andando oltre a una visione da reportage e a tratti onirica. «Eramo, per favore, non far subito di “no” con il capo, fammi proseguire».
La nota biografica dà importanti indicazioni sul suo percorso:
Sono nato ad Altamura, in Puglia, nel 1973. Sono un maestro di scuola primaria, specializzato nel sostegno ai bambini diversamente abili. Fotoamatore da 25 anni, ex membro del collettivo italiano di fotografia di strada “Spontanea”. Da oltre tre anni ho iniziato questo viaggio di scoperta-riscoperta della mia terra, cominciando un diario di viaggio in Puglia, dove vivo, e in Basilicata, una terra che amo tanto. Qui, provo a catturare, e forse a salvare, momenti e scene di ordinaria vita quotidiana, atmosfere, istanti, volti, sensazioni, cercandoli specialmente tra le strade e i vicoli di piccoli borghi, per raccontare un mondo, e soprattutto quanto di questo mondo si va perdendo e quanto ancora rimane. Sono le mie personali visioni di un Sud Italia della memoria e dell’anima. Una ricerca, un viaggio interiore, ancora in corso e senza fine.
Ecco qui l’incontro tra Aulenti ed Eramo: un viaggio che ritrova entrambi in Basilicata. Eramo fa il fotografo per passione; ispirato da un approccio al surreale in fotografia ha poi deciso di avanzare verso una visione neorealista sino a giungere a un rapporto più introspettivo con le immagini. Una ricerca di di se stesso dove a colpire sono singoli elementi: un volto che si esprime nel gesto di un anziano che sta per togliere il cappello; una mano poggiata su una sedia di cui si vede solo la parte superiore. Volti o elementi della quotidianità e del lavoro. Tra Puglia e Basilicata e anche qui in bianco e nero, perché è vero che al Sud la luce è fonte di contrasti e contraddizioni. Maschera lo stare al mondo delle cose e il bianco e nero seppur più nero o con preferenza verso il bianco fa vedere meglio le anime. Quelle dei vivi e quelle dei morti. Perché a Sud, la nostra teatralità – talvolta esasperata e barocca di matrice spagnola ma con nobili radici nel “greco pensare” – porta sempre a voler riscattare i nostri peccati, influenzati come siamo dalla commistione tra riti pagani, impiantati nel Cattolicesimo già dai filosofi e Padri della Chiesa, e il Cristianesimo orientale. Aspiriamo pur sempre alla catarsi, quella offerta dal teatro greco, formatrice e di rinascita. Ci piace la flagellazione, ci reca momentaneo sollievo per poi farci rimpiombare nel dialogo con i fantasmi. A Sud più che altrove – concordo con Eramo – i fantasmi girano tra noi e usano l’abbaglio della luce per nascondersi. Il bianco e nero invece li rintraccia, lo sapeva bene Capuana, che ci ha parlato una vita intera.
Trovo le immagini di Eramo, legate al Neorealismo; quello più poetico e intimo. Il maestro ha desiderio di dire ciò che pensa del mondo. Il mondo in cui ha scelto di vivere. Luoghi mossi che sembrano apparentemente immobili; un altro effetto della luce, sempre da noi a Sud, dove tra santi e anziani vi sono anche i bambini che ancora si possono ritrovare in strada a giocare con un pallone o a nascondino. Eramo ama entrare in stretto contatto con le persone che incontra ma lo fa con molto rispetto. Desidera solo preservare ciò che di autentico può ancora essere rintracciato in stili di vita “di provincia” e mestieri che affondano le mani nella storia stessa dell’uomo. La fotografia gli consente di dire degli altri per parlare di sé; è ricerca di sé nelle comuni radici ed è un costante dialogo con suo padre. Quelle sedie vuote, rappresentano sì un’assenza ma sono lì ad accogliere un’invisibile presenza. Non tutto va detto o posto in evidenza. Le ombre introducono a strappi in un tessuto e da lì, la luce passa ma non offende. Le rughe di un volto rinviano ai volti estatici di bimbe e bimbi che sanno ancora come vedere la verità in un fenomeno naturale o durante una manifestazione sacra, perché sanno ancora cos’è il senso della meraviglia. Tra Aulenti ed Eramo, io ho fatto a cazzotti con la mia parte razionale e con quella emotiva; alla fine ho ceduto alla seconda. Ho fatto due domande sul suo mestiere di maestro. Infatti tra i centri delle sue foto ci sono i bambini, che sono tutti speciali nessuno escluso e da cui possiamo solo imparare. Sì, la fotografia andrebbe posta tra le materie da insegnare perché l’esperienza parte dal gioco. Ce lo insegnano gli animali che imparano, giocando, e così fanno i cuccioli d’uomo. La fotografia è espressione di sé ed è arte e come l’arte va rivalutata nel mondo Scuola. In Eramo, le immagini sono popolate da anziani, oggetti, bambini e fantasmi. Gli anziani per la memoria che custodiscono e gli oggetti da cu non si separano; i bambini perché in grado di vedere i fantasmi. I fantasmi per farci capire che anche dopo non saremo soli. Ok, forse, è una visione un po’troppo personale la mia, ma questo articolo è personale. Lo è ancora più di tutti i precedenti.
Questo è ciò che ho ritrovato in Elegia del ritorno in cui l’elegia non è nostalgia bensì meditazione e malinconia. Anche questo fa parte del nostro bagaglio di gente del Sud.
Chiedendogli del lavoro di post produzione, Eramo ha risposto tutto contento, che è parte integrante del processo fotografico e che lui ha un rapporto “bellissimo”. Tuttavia non si tratta di manipolazione quanto piuttosto di un dialogo tra il fotografo e l’immagine. Nel progetto Elegia del ritorno altrettanto importante è l’editing e lo storytelling, molto curato, per dare una visione d’insieme che permetta di entrare dentro alle storie stesse.
In, e smisi di cercare il senso, si ha il desiderio di non farsi troppe domande “sul senso degli accadimenti e della vita stessa”. Da uno strappo, a uno sguardo chiuso, al sorriso arcaico trattenuto in un Kùros a quello strappato di un manifesto pubblicitario. Balzano fuori immagini familiari, l’introspezione si fa profonda, e lui stesso non vuole spiegarle, le foto, lasciando a noi la scelta di accettarle o respingerle.
Infine ci ha fatto entrare in Uaragniaun, progetto che mostra passo dopo passo la realizzazione di un album dell’omonimo gruppo di Altamura, composto da Maria Moramarco (figlia di cantori), Silvio Teot e Luigi Bolognese. Gruppo che si propone di rivitalizzare, attraverso una lettura critica, canti inediti della musica popolare pugliese e, in particolare della Murgia barese. La Moramarco è anima viva di questa ricerca con il suo “ricettario delle tradizioni”, raccolta che Eramo mostra in alcune delle immagini insieme al dettaglio della bella capigliatura della stessa. Eramo, è maestro di scuola primaria, fotografo e musicista. Lo vedo bene insieme ad Aulenti, a farsi insieme un “Basilicata coast to coast” alla manieria di Rocco Papaleo e Max Gazzè. Almeno in chiusura, il riferimento cinematografico, mi sia concesso. Ci ritroviamo, giovedì 4 giugno, con una nuova finestra aperta sulle “CAMERE CON VISTA”.