Gianluca Granieri è nato nell’entroterra siciliano ma è catanese d’adozione. Sì, perché la città “cu Liotru” ha uno spirito di accoglienza che a forza di frequentarla e viverci, diventi catanese. Io stessa da anni, mi sento “catanese”. Granieri è anche un “autore in divisa” ovvero il suo lavoro è in Polizia. Ma amando la scrittura ed esercitandola con la medesima cura con cui svolge il proprio lavoro da poliziotto, si definisce per l’appunto “autore in divisa”. Passione che condivide con altri colleghi, tanto che hanno costituito un’associazione.
Ciò non mi ha affatto sorpreso. Da anni noto con piacere che molti autori impegnati in altre professioni hanno notevole vena creativa e ottime capacità narrative. Granieri è tra questi: scrive bene ed è siciliano. Altro motivo di riflessione per me, che da tempo verifico l’innata e sanguigna capacità di voler e saper narrare la Sicilia; perciò vado alla ricerca di questi coraggiosi che affermano una necessità, che definirei “ancestrale”. Un bisogno primordiale, un atto di fede e una rinnovata promessa d’amore verso la propria terra.
Gianluca Granieri esercita questa urgenza del dire e lo fa mediante una narrazione che mescola autobiografia e report. In Un milanese a Catania, Book Sprint edizioni, l’autore sceglie di mettersi in gioco “in prima persona”. Infatti il protagonista è lo scrittore medesimo, il quale durante una delle sue passeggiate mattutine a Catania – esercizio fisico e mentale – incontra Ambrogio, un signore milanese, che tuttavia è un altro catanese d’adozione. Pur se Ambrogio, come si scoprirà presto, ha una visione “lombarda” di come debba trattarsi una città.
In questo romanzo breve – in ciò dissento dalla scelta di Granieri nell’averlo definito “racconto” poiché ha tutte le caratteristiche del romanzo, dallo stile alla trama, sino alla lunghezza – si prende parte ad un incontro fortuito come ce ne sono tanti nella nostra vita; quello tra lo scrittore e Ambrogio, in un luogo simbolo per Catania, tanto quanto può esserlo piazza Duomo, cioè piazza Teatro Vincenzo Bellini. Un incontro che all’inizio sembra sottolineare la differenza abissale tra protagonista e coprotagonista. Ambrogio si mostra troppo critico nei confronti di quella città e la reazione di fastidio da parte del protagonista è evidente nelle parole che cito: «Nel decalogo della sicilianità non è consentito al forestiero e a terzi in genere esprimere critiche e polemizzare. Solo noi possiamo dire peste e corna della nostra isola e dei suoi abitanti». Ambrogio resta sempre un forestiero, non un siciliano, eppure dall’iniziale diffidenza – che il siciliano esercita in equa misura con il senso dell’accoglienza – si giunge gradualmente al desiderio di una condivisione di pensieri e riflessioni e si assiste alla nascita di un’amicizia profonda e delicata.
Catania non è solo l’oggetto di considerazioni e chiacchiere tra due amici sul degrado, il malcostume ma anche sulla regale bellezza barocca e sul sentire della gente con gesti, riti, odori e sapori. Catania diventa essa stessa protagonista del romanzo. La città è la figura femminile, la donna ammirata pur con i suoi capricci e le sue stranezze; la donna contesa che ammicca sensuale tra le generose curve barocche ed inebria con gli odori che sanno di mare e di agrumi. Effluvi che confondono ed irretiscono, rimandando al languore prodotto dal profumo speziato mescolato all’aroma dello zucchero. Catania si manifesta in tutta la sua prorompente femminilità attraverso altre epifanie: l’Etna “a Muntagna” e Agata “a Santuzza”. Poi ci sono le altre donne, le catanesi, ambasciatrici della città.
Una storia d’amicizia, quella in Un milanese a Catania, dall’epilogo non scontato e denso di affetto e al tempo stesso, un gesto di amore e generosità verso Catania. Granieri ci invita a percorrere insieme a lui le vie cittadine in un tour gradevolissimo così come gradevole è la sua scrittura: pulita, riflessiva al punto giusto, coinvolgente. Camminando a piedi, quotidianamente, si va alla scoperta di luoghi che si mostrano “nuovi”, pronti a parlarci perché «la vita va apprezzata, senza se e senza ma».
Vi invito a portarvelo dietro questo testo quando visiterete Catania e sono certa che vi sembrerà di essere in compagnia di Ambrogio e di Granieri. Magari potreste fermarvi in un bar a piazza Teatro Bellini per prendere insieme a loro un caffè, una granita oppure una bella birra ghiacciata e porgere i vostri omaggi a Catania ed alle sue donne.
Lisa Bachis