Venerdì 5 febbraio, ha inaugurato il mese, l’appuntamento di «Camere con Vista» che ha visto in qualità di ospite il fotografo Stefano Cavazzini. Il format è organizzato dall’associazione fotografica «Taoclick», in collaborazione con Rocco Bertè Foto e Video, Rogika’s Friends e il media partner «JonicaReporter», diretto da Valeria Brancato. In diretta: Rocco Bertè, Alfio Barca, Augusto Filistad e Roberto Mendolia (Rogika).
Novità ed accadimenti dal mondo della fotografia – Alfio Barca, nel suo stile attento e preciso, ha intrattenuto il pubblico social, tornando a parlare di mostre fotografiche. «True Fictions», che avrebbe dovuto essere inaugurata il 17 Ottobre 2020 e rimanere in esposizione sino al 26 Marzo 2021, riaprirà i battenti il 10 Febbraio. Location di prestigio: Palazzo Magnani a Reggio Emilia. Curatore: Walter Guadagnini.
Il sottotitolo, che indirizza al pensiero sotteso, è: «Fotografia visionaria dagli anni ’70 ad oggi». Un viaggio tra reale e immaginario; tra artificio e manipolazioni che sposta la riflessione sul reale percepito, il reale oggettivo e il gioco operato sulle immagini da numerosi fotografi per far riflettere quanto oggi labile sia il confine tra ciò che ci sembra vero e ciò che lo è, ponendo interrogativi anche sulla corretta informazione nella trasmissione delle immagini, all’interno della nostra società «liquida» e globalizzata.
In esposizione opere di Emiliy Allchurch, James Casebere, Bruce Charlesworth, Eileen Cowin, Thomas Demand, Bernard Faucon, Joan Fontcuberta, Samuel Fosso, Julia Fullerton Batten, Teun Hocks, Chan-Hyo Bae, Alison Jackson, Yeondoo Jung, David Lachapelle, David Levinthal, Hiroyuki Masuyama, Tracey Moffatt, Yasumasa Morimura, Nic Nicosia, Lori Nix, Erwin Olaf, Jiang Pengyi, Andres Serrano, Cindy Sherman, Laurie Simmons, Sandy Skoglund, Hannah Starkey, Hiroshi Sugimoto, Paolo Ventura, Jeff Wall, Gillian Wearing, Miwa Yanagi.
Qui di seguito il comunicato stampa ufficiale in merito alla mostra:
«La prima retrospettiva mai realizzata in Italia sul fenomeno della Staged photography, la tendenza che a partire dagli anni Ottanta ha rivoluzionato il linguaggio fotografico e la collocazione della fotografia nell’ambito delle arti contemporanee. Attraverso oltre cento opere di grandi dimensioni, la mostra dimostra come la fotografia abbia saputo raggiungere fra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo vertici di fantasia e di invenzione prima affidate quasi esclusivamente al cinema e alla pittura. Pesci rossi che invadono le stanze, cascate di ghiaccio nei deserti, città inventate, Marilyn Monroe e Lady D. che fanno la spesa insieme, tutto questo può accadere anche davanti a una macchina fotografica, o forse dentro a una macchina fotografica o a un computer, trasformando lo strumento nato per essere lo specchio del mondo in una macchina produttrice di sogni e inganni. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento la fotografia assume un nuovo ruolo all’interno del contesto artistico e una nuova identità. Alcuni autori iniziano a mettere in scena, a costruire veri e propri set cinematografici per costruire una realtà parallela, spesso indistinguibile da quella rivelata tradizionalmente dalla fotografia diretta: è la fotografia che si mescola alla performance e alla scultura, che può anche prendere la forma di un teatrale reenactement. Altri artisti invece, seguendo l’evoluzione delle nuove tecnologie, intervengono sull’immagine dando vita a situazioni surreali, di volta in volta inquietanti o divertenti, elaborando collages digitali attraverso l’uso sempre più sofisticato di Photoshop, messo in commercio nel 1990. La fotografia, regno della documentazione e dell’oggettività (presunte) diventa il regno della fantasia, dell’invenzione e della soggettività, compiendo l’ultima decisiva evoluzione della sua storia».
Tra i fotografi esposti anche Alison Jackson nota per le sue provocazioni per mezzo delle immagini, citata da Barca con questa frase: «Odiavo la fotografia, pensavo fosse un mezzo economico, privo di valori artistici e di cui non ci si poteva fidare. Dimostrando che è facile mentire».
A proposito di questa poliedrica e irriverente artista inglese, di lei ricordiamo la mostra «Truth is Dead», a Fotografiska Tallinn, in Estonia. Città dalla multiforme offerta culturale e ricca di musei. In quella sede museale, in uno spazio dedicato alla fotografia, la Jackson ha per l’appunto indagato la linea sottile che demarca il passaggio dall’autenticità alla finzione. Noti i suoi ritratti ironici di personaggi del mondo della politica e altre celebrità nell’atto di compiere gesti e azioni da scandalo. Qui ci troviamo innanzi a un iperrealismo fotografico, in cui vengono miscelati i generi del reportage e della fotografia d’arte, secondo un intento antropologico. Uno strumento, quello fotografico, per porre in discussione i nostri costumi e le nostre convinzioni, spronandoci a una visione critica della realtà. La Jackson a tal proposito ha dichiarato: «La verità è morta. Nulla di ciò che ci viene mostrato può essere attendibile, tutto può essere simulato e nulla è autentico. […] Le celebrità sono santi dei tempi moderni, assumono il ruolo precedentemente ricoperto dalla religione e fungono da icone per noi da adorare».
Dal vero al verisimile, l’immenso immaginario di Stefano Cavazzini – Anche stavolta ad accompagnare l’ospite durante la diretta social, sono stati Roberto Mendolia (Rogika) e Rocco Bertè.
Cavazzini, di Parma, è molto apprezzato. Di sé ha detto:
Ho iniziato a fotografare tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta come documentazione ai miei viaggi, ma solo negli ultimi anni ho intrapreso con grande soddisfazione personale la strada della fotografia creativa; oggi le mie immagini trattano quasi esclusivamente le tematiche che da sempre mi hanno affascinato: l’esplorazione della sfera dell’immaginario e il rapporto fra etica ed estetica che trovo convivano perfettamente nell’arte orientale. Credo che proprio l’amore per l’arte, per quella orientale in particolare, sia il filo conduttore che accomuna le mie fotografie.
Di questo fotografo – che come già altri ospiti di «Camere con Vista» ci ha tenuto a precisare che è un fotoamatore e non un professionista per poter mantenere la libertà dello scatto –, si son viste da subito la grande umiltà e la delicata discrezione che lo contraddistinguono. Cavazzini entra nel mondo con naturale pudore. Tra i progetti presentati, quelli legati ai luoghi in cui vive e quelli che scandagliano e si soffermano sul vero e il verisimile, sino al viaggio – che in fondo investe ciascuno di noi – nell’immaginario. Un viaggio in cui estetica e poetica sono strette in un indissolubile abbraccio.
Il primo lavoro raccoglie fotografie prese nelle campagne e nelle colline intorno a Parma. Si procede poi alla rimodulazione tra still-life e concettuale negli altri progetti. Definisce il lavoro di Cavazzini la scelta del Bianco e Nero, tra evidenza di linee, dettagli certosini e sfumature sognanti. La composizione delle immagini è rigorosa ma frutto di naturale predisposizione a cogliere ciò che vi è di essenziale, in modo da far vagare, facendolo appuntare al momento giusto, l’occhio di chi osserva. Non si fa uso di postproduzione eccessiva, tutto viene dosato, per giungere financo, alla combinazione di due immagini in doppia esposizione.
Gioca tanto il fatto che, Cavazzini provenga dal mondo della pittura e che, in funzione quasi sonnambolica, usi la macchina quasi fosse un pennello, sino a spingersi ad una vera e propria «pittura fotografica». Il Bianco e Nero al posto del colore, pertanto, ha valenza di porre al centro ciò che l’occhio non coglierebbe subito, distratto dal colore. L’uomo è di rado presente ma lo è in senso antropico: tramite i suoi artefatti e l’influenza sull’ambiente.
Fotografia e pittura, dunque. Se osservo le immagini dei suoi luoghi natii mi sovviene alla mente l’autodidatta Antonio Ligabue, che nei dipinti tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, amava osservare, tenendo il riserbo e mantenendo atteggiamenti ombrosi, la natura e gli animali. Certo la pittura di Ligabue era attenta al colore ma le atmosfere e il senso dello straniamento di fronte alla grandezza del naturale, sono i medesimi. Vi è poi la predilezione in Cavazzini per i pittori del 1200 nell’uso delle tecniche. Tuttavia, per ciò che riguarda l’impianto simbolico adottato nelle sue foto, ritrovo tanto delle forme allegoriche presenti nei dipinti di Hieronymus Bosch. Protagonista è la caducità dell’essere umano, che spinge alla decifrazione di immagini surreali, che furono di ispirazione tra gli altri anche per Salvator Dalì. In effetti, le fotografie di Cavazzini potrebbero tranquillamente rientrare all’interno di un «surrealismo onirico fotografico».
Vi è poi il ricorso a una tecnica non lontana dallo «sfumato leonardesco»: la sfocatura lieve del dipinto, che in questo caso è sostituita dall’immagine fotografica. Tale tecnica veniva usata per ammorbidire i tratti sia dei volti sia del paesaggio al fine di avere un effetto sfocato che in natura accade per via dell’umidità e della distanza. In fotografia ad esempio è detto effetto fluo, in cui un velatino viene sovrapposto all’obiettivo; ma in Cavazzini ciò è operato in sede di lavorazione dell’immagine. Inoltre, non vi è bulimia dello scatto. Al contrario, vi è attesa e scelta sapiente di ciò che si vuol inquadrare per scattare e ricavarne l’immagine.
Il terzo progetto presentato durante la diretta, «Sulla rotta di Darwin», è scaturito dalla lettura del testo Viaggi di un naturalista giramondo di Charles Darwin, un libro fondamentale nella formazione giovanile di Cavazzini. Il fotografo utilizza fotografie di muri scrostati e macchiati, aggiungendo in digitale alcuni particolari per illustrare brani di Darwin, immergendoci nelle atmosfere acquarellate di William Turner, famoso per le sue tempeste. L’osservatore ad un tratto non vedrà più i muri che scompaiono e lasciano spazio a monti, jungle, mari in tempesta, paludi, baie.
In tal senso, per entrare più a fondo, non si possono ignorare le parole del poeta, scrittore e critico siciliano, Giuseppe Cicozzetti, molto conosciuto per la sua contaminazione di scrittura e fotografia; seguitissimo sulla pagina Facebook: “Scriptphptography”.
Nel testo e progetto di Cavazzini, Cicozzetti ha introdotto un tracciato di parole che conducono ad ogni radura di immagini. Ne è venuto fuori un viaggio dentro al viaggio. Quasi un diario di bordo a due voci, di grande impatto emotivo. Un percorso nel valore del minimo e del dimenticato; un’offerta poetica per immagini che ci induca ad andare oltre il visibile che si pone ai nostri occhi, lasciandoci condurre dall’immaginazione e dall’esercizio della fantasia. Nella riscoperta del nostro lato più puro e meno concettuale: l’infanzia; in cui, dimenticato il muro scrostato, saremo in grado di vedere ghiacciai oppure lande desolate. Luoghi popolati da grandi felini o da meravigliosi e liberi uccelli. Oppure così come la foto scelta per la copertina, una cascata e in cima, gli orsi pronti a cacciare.