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sabato, Ottobre 12, 2024

La Natura si fa Arte. Goethe in Sicilia

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Sono i primi giorni del mese Aprile, quando il trentasettenne Goethe giunge nella “Felice” città di Palermo. È un insigne letterato della corte di Weimar, noto in tutta Europa. Un uomo che ha raggiunto la piena maturità intellettuale e artistica; un intellettuale che dovrebbe trovar pieno appagamento per gli onori tributatigli. La decisione del Viaggio in Italia – iniziato nel settembre del 1786 e durato due anni – è per il tedesco «un imperativo categorico» al quale non può sottrarsi.

Goethe “deve” andar via per compiere una Wiedergeburt: attuare il proprio destino di “Rinascita”. L’Italia è una rete di luoghi necessari nel percorso verso la rigenerazione dello Spirito; e la Sicilia non è una semplice tappa all’interno di questo viaggio. Essa è meta imprescindibile, poiché a detta dello stesso Goethe «in questo paese si trova la chiave di ogni cosa». Il poeta che avanza alla continua ricerca di minerali e strati geologici da cui sviscerare l’essenza del Mondo; lo studioso delle meraviglie artistiche e architettoniche di cui l’Italia è culla; questo seguace di Linneo, è anche amante della filosofia di Spinoza, nel cui pensiero è tracciata la perfetta corrispondenza tra il divino e il naturale: Deus sive Natura. Allora, quel “quid” a cui non può rinunciare, è “l’incipit” per ogni descrizione o opera letteraria e poetica.

È sorgente primigenia: ossia, la Natura come energia vitale, e tale fonte energetica, si trova in Sicilia. Goethe approdato nell’Isola, subisce il fascino sconvolgente e tremendo dell’esplosione vegetale e floreale siciliana e si sente stordito da questa prepotenza, che mal regge i confini imposti dall’ordine umano.

Sull’Orto Botanico di Palermo, annota

«È il più bel posto del mondo. Di disegno regolare, sembra tuttavia come fatato. Non è piantato da molto, ma riporta a tempi passati. Verdi aiuole cingono piante esotiche, spalliere di limoni si piegano in eleganti arcate, alte pareti d’oleandro adorne di mille fiori rosso garofano seducono gli occhi. Alberi a me estranei, assolutamente ignoti, ancora senza foglie, probabilmente di regioni calde, allungano curiosi i rami»

La rigogliosa vegetazione lo irretisce, non è di fatti abituato “a veder alberi crescere nella nuda terra”; e le serre e i vasi dove ordinate file di agrumi dovevano sembrargli l’unico modo per veder crescere la vita, ora gli appaiono come pallide immagini di una naturalità artificiale. Qui, con i sensi sconvolti dagli aromi che rimandano all’Asia e all’Africa, l’esteta si abbandona alla “Natura che si fa Arte”: ciò che percepisce, assume i contorni dell’opera pittorica. I colori sono vividi

«un verde, al quale noi non siamo più abituati, veste le piante ora con tono più giallo, ora più azzurro che da noi. Ma ciò che dava all’insieme una grazia speciale era la densa vaporosità che si spandeva uniforme su ogni cosa. […] Non è più natura, ma quadri! Come se un pittore avesse sfumato a velature». 

Durante ogni tappa del viaggio, alla ricerca della Sacra Radice di ogni cosa, Goethe sperimenta il contatto diretto con la generosità di questa magnifica terra. Così è a Castel Vetrano, piena di colline, dove l’albero di fico è germogliato e dove

«ciò che ha suscitato gioia e meraviglia sono state le estensioni di fiori, tanti, tanti da non potersi abbracciare con lo sguardo. Alcuni avevano invaso l’ampio stradone con grandi distese variopinte le une alle altre, ora isolate, ora in successione. I più bei convolvoli, ibischi, malve e un’infinità di trifoglio fanno da padroni di volta in volta; in mezzo, macchie d’erba gineprina e agli».

Il poeta, lasciatosi sedurre dal paesaggio cangiante, comprende finalmente la simbiosi che i greci raggiunsero tra Natura e Architettura: questa, gli si mostra ad Agrigento, di fronte al tempio di Esculapio che «all’ombra di un bellissimo carrubo e quasi murato in una piccola casa rurale, offre uno spettacolo gentile». I paesaggi siciliani, come affreschi di esistenze antiche, suggeriscono al poeta sensazioni omeriche; tanto che scriverà qui, in Sicilia, e precisamente a Taormina, il frammento di un poema ispirato all’Odissea dal titolo Nausicaa:

«Un argenteo bagliore sulla terra/ pose e sul mare, e, vaporando, l’aria/ alita senza nubi».

L’ispirazione gli giunge, rimanendo a stretto contatto con la Natura dell’Isola. Goethe si trova giù, nella zona a mare della cittadina, in un orto abbandonato che gli offre i rami di un arancio come seduta e gli propone una nuova riflessione, poiché scrive:

«Tutto ciò suona un po’ strano, però diventa naturale se si sa che l’albero d’arancio lasciato alla sua natura, ben presto si divide in rami appena sopra le radici, che col tempo diventano robusti».

Di nuovo, la fertile terra che dà i suoi frutti, regala a Goethe inattesi spunti linguistici: ed è sulla Lingua che occorre indugiare ancora un poco. L’omerica avventura siciliana, diviene momento fondamentale nella ricerca dell’Origine; viaggio all’interno di quell’universo linguistico, che è la trama stessa del pensiero goethiano. Il poeta tedesco ha scritto nella sua “Lingua Madre”, ma non si può ignorare che le emozioni e le esperienze sensoriali che ha assaporato con avidità, abbiano risentito in modo indelebile di quel paesaggio, unico, le cui radici s’aggrappano con ostinata volontà di sopravvivenza ai morbidi fianchi dell’Etna, sino ad immergersi in un Mare primigenio. Il linguaggio “parlato” da queste terre, è espressione della Natura lussureggiante; documenta, le memorie di antiche civiltà. Esso ha trovato nutrimento nelle leggende e nei canti multietnici, che da sempre hanno attraversato l’Isola. Anche la luce, che trasfonde in colori accecanti e maschera l’indole malinconica dei siciliani, concorre ad impinguare tale multiforme varietà linguistica. Natura e Lingua, insieme vanno in scena, e seducono il naufrago che cerca dimora. Chi fa esperienza di questa “Lingua paesaggiale”, ne viene irrimediabilmente trasformato.

La Lingua è essa stessa ponte-passaggio, così come l’Isola intera. Anche il viaggio di Goethe si compone di innumerevoli tappe, ciascuna difficile da contener tutta in un’unica descrizione linguistica e perciò “irripetibile”. Un viaggio in continuo mutamento poiché con l’avanzar dell’esperienza, il paesaggio si modifica e la lingua canta, parla, sospira per raccogliersi infine, nel silenzio. E Goethe al suo rientro in patria, si avverte come “Uomo Nuovo” mentre affida il messaggio della Natura, udito lungo il cammino, alla Lingua della Parola Scritta. 

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