TAORMINA – Venerdì 10 gennaio 2020. Pomeriggio di un inverno siciliano, in una città spogliata degli addobbi natalizi che si specchia nella bellezza dei suoi luoghi, vestita di secolare eleganza. Gli incontri, sulla fotografia, organizzati dall’associazione “Taoclick” – con il patrocinio del Comune di Taormina, Assessorato alla Cultura retto dalla professoressa Francesca Gullotta; con il sostegno di UNITRE; la sponsorizzazione di “FDD” di Caterina Lo Presti e il media partner “Jonica Reporter” diretto da Valeria Brancato – hanno inaugurato il nuovo anno in un clima di grande partecipazione. Roberto Mendolia (Rogika) e la squadra di “Taoclick” possono considerarsi orgogliosi e soddisfatti per il lavoro svolto in questi anni, che ha interessato a trecentosessanta gradi il mondo della fotografia, con un obiettivo speciale puntato sui fotografi “made in Sicily”. La “Saletta Conferenze” dell’archivio storico, ieri, era piena di fotografi e amatori che in questi anni hanno ceduto all’effetto coinvolgente e dirompente delle narrazioni per immagini. Il clima conviviale ha giovato tantissimo alla riuscita di questi incontri, che sono entrati a far parte di diritto degli appuntamenti culturali di Taormina. Fatica, impegno e determinazione stanno regalando a “Taoclick”, e a noi tutti, frutti meravigliosi; perché si può e si deve parlare di fotografia e si può e si deve dare spazio alle persone davanti e dietro alla macchina fotografica. Persone che questo mondo vedono, interpretano e narrano.
“BUCAREST E I SEGRETI SOTTERRANEI” di Sam Formichetti ha dunque riaperto il programma di “Immagini & Parole” per l’edizione 2019-2020, e che prevede altri tre incontri: un altro il 24 gennaio e due a febbraio. Raccogliendo spunti e informazioni, una frase mi ha colpito subito e fa entrare pienamente dentro l’atmosfera bella che si crea. Cristiana, la compagna di Sam, chiacchierando in attesa dell’inizio, quando faccio notare che la sala è piena, asserisce con candida franchezza: «Dato che parla poco sono accorsi numerosi per ascoltarlo».
Le fragorose risate e l’assenso generale per tale affermazione danno un’idea del piacere di ritrovarsi qui appuntamento dopo appuntamento. Roberto Mendolia – che ha brevemente introdotto il progetto di Sam, spiegando tra la fine del 2017 ha pubblicato un e-book e lo ha invitato a spiegare il progetto – ha prima aperto una finestra-evento nell’evento, consegnando a Rocco Bertè, il premio per la sua fotografia dell’Etna – a colori – che aveva ritirato per suo conto, lo scorso dicembre, alla “Fondazione Mazzullo” durante la mostra collettiva “Idda a Muntagna”. Foto scelta da Fabrizio Villa. Anche qui, nel momento in cui Roberto legato al “suo” bianco e nero ha consegnato a Rocco, “il colorato”, il premio, vi lascio immaginare quali reazioni abbia potuto scatenare.
Chiuso il sipario su Rocco Bertè e le affettuose scaramucce con Roberto, Sam Formichetti ci ha portato con sé nel suo viaggio a Bucarest. Non in hotel di lusso o a vedere paesaggi incontaminati ma in un mondo dove pronunciare la parola ‘bellezza’ sembra quasi una bestemmia.
Chi è Sam Formichetti? La sua nota biografica suggerisce le intenzioni che muovono i suoi passi:
«Fotografo freelance, nato a Pavia, poco più che adolescente comincia a prendere tra le mani le prime macchinette fotografiche usa e getta ma senza mai approfondire realmente la fotografia. Nel 2014 si trasferisce in Sicilia, e il suo interesse per la fotografia inizia a diventare il modo migliore per esprimere la sua visione della realtà. È alla continua ricerca di luoghi e persone che vivono le periferie e siti abbandonati da immortalare».
Non un tour turistico tradizionale ha fatto Sam ma un viaggio nel sottosuolo, nelle viscere di una marginalità del vivere che noi troppo spesso preferiamo non vedere perché ci offusca lo sguardo e oltraggia il nostro malcelato perbenismo di deriva borghese, di cui oggi ci restano le macerie nell’ostinato perseguimento del controllo ad ogni costo. La nota sul progetto spiega la finalità di questa scelta:
«Nel Novembre del 2016 Sam Formichetti ha preso la sua macchina fotografica ed è partito per Bucarest per calarsi nelle fogne cittadine. Il suo è un progetto fotografico che nasce dalla volontà di raccontare attraverso i volti delle persone che vivono questa realtà, e dalla voglia di voler fare un esperienza ai margini, conoscere e vivere con queste persone. Nel 1966, il leader del Partito Comunista romeno, Nicolae Ceausescu decise di emanare il decreto “770” per aumentare la crescita demografica del paese e vennero quindi banditi tutti i tipi di contraccettivi, venne vietato l’aborto, vennero introdotte tasse speciali per chi non aveva un numero elevato di figli, di conseguenza tutto questo portò ad un incremento di nascite superiore al 100% tra il 1967 e il 1968, e la necessità di costruire nuove scuole, asili e soprattutto orfanotrofi visto i 170.000 abbandoni. La popolazione delle fogne di Bucarest è, a tutti gli effetti, una diretta conseguenza di una politica demografica mirata alla crescita, ma non in grado di accogliere tutti questi nuovi nati. Per via delle condizioni di vita e dei maltrattamenti, moltissimi bambini preferivano scappare e vivere in strada. Nel sottosuolo di Bucarest vivono fino a tremila giovanissimi, una realtà spaventosa che si snoda nel sottosuolo in una sorta di mondo parallelo a poche decine di metri da negozi di lusso e macchine costose. La “tribù delle fogne” vive di elemosina, furti, proventi di spaccio di droga e prostituzione. C’era un detto tra coloro che vivevano nei canali: “a dieci anni sei giovane, a vent’anni sei vecchio, a trent’anni sei morto”».
Posso assicurarvi che essere lì, ieri pomeriggio, e ascoltarlo mentre raccontava le sue scelte e vederne il sorriso, la spontaneità e gli occhi di chi ha deciso di percorrere strade differenti, è stato un tuffo al cuore. Ora so bene che bisogna pensare alla tecnica della foto, al modo di procedere e di scattare, all’uso dell’obiettivo giusto, ma io che scrivo e ascolto le storie degli altri ho provato orgoglio per Sam perché anche lui vuole raccontare e dire alla sua maniera. Le sue parole, alla richiesta di sapere di più da parte nostra, erano cariche di intensità nonostante le immagini trasmettessero un’idea “alternativa” della bellezza, che però c’è. Le sue foto urlano bellezza come un filo d’erba che nasce in mezzo al catrame.
Sam Formichetti, durante il suo racconto e durante la visione delle immagini, ci ha fatto immergere in quella realtà dissonante:
Nel 2016, ho pensato per diversi mesi a questo desiderio di andare a Bucarest per vivere con questi ragazzi le mie giornate e capire, e sentirmi vicino. Si è trattato in parte di un’avventura improvvisata. Loro solo di notte tornano nei sotterranei. Queste persone sono quei figli in più, abbandonati, finiti prima in orfanotrofio e poi lasciati a se stessi. Il mio approccio con loro è stato normale, anche se non tutti volevano farsi fotografare. Sono stato con loro e mi hanno offerto il loro cibo. Ho anche ricevuto aiuto da alcuni ragazzi che facevano l’Erasmus e tra italiano, inglese e rumeno sono andato avanti. Anzi, sono stato anche su un’ambulanza in giro in un quartiere periferico per distribuire siringhe e contraccettivi. Molti ora vivono in quartieri periferici e non più nelle fogne. Il mio è un interesse alla conoscenza delle loro storie; la maggior parte di questi giovani ha una prospettiva di vita minima perché tanti sono affetti da tubercolosi, una malattia che per noi appartiene a tempi passati ma che lì miete vittime. Sono riuscito a calarmi nei canali sotterranei dopo aver vinto le resistenze, sui venti giorni che sono stato lì, l’ultimo giorno. Essermi messo in contatto con “Parada”, associazione che recupera e lavora con questi ragazzi mi ha dato la possibilità di conoscerli meglio. Io parlavo, interagivo, aiutavo, ero insieme a loro. Sono tornato più consapevole e con molta chiarezza su ciò che voglio portare avanti.
Dopo averlo ascoltato e aver visto le foto, anche io ho ben compreso cosa Sam “farà da grande”. Le sue non sono fotografie di strada, c’è il sapore di reportage nelle immagini di Formichetti. La foto del ragazzino sorridente sul manifesto pubblicitario della “Carrefour” che ha come soggetto principale, invece, il ragazzo di strada che respira colla e trattiene negli occhi una fugace gioia, è documento. Si tratta di far vedere non solo per denunciare ma per far capire che esiste speranza anche là dove tutto è avvolto dalla disperazione. Le immagini mostravano volti al margine pieni di occhi e sorrisi accesi, nonostante il brutto attorno. Sam ha immortalato l’urbanesimo del degrado. Un uomo su un cartone, fatto cosa e, diventato esso stesso straccio in cui è avvolta ancora una parvenza di umana dignità. Un’altra donna vestita solamente per trascinarsi in strada, una sigaretta ciondolante tra le dita, uno sguardo perso chissà dove e alle sue spalle un negozio di lingerie, che nell’immagine della modella ben nutrita e generosa nelle forme promette paradisi del benessere, lontani anni luce dalla sua vita di sopravvissuta. Capanne che sono buchi di lamiere. Il bianco e nero di Sam, è scelta dettata da un DNA che lo segna, ci accompagna nel viaggio sino a che l’ultima foto lo mostra mentre si cala nei tunnel. Una foto che però non chiude il progetto sebbene abbia in mente anche altro.
Ci penso a tornare a Bucarest ma ho anche altri progetti. Mi piace la periferia, ora per esempio, fotografo anche edifici dove vedo rotture, mura con crepe. Edifici abbandonati dall’interno. Queste crepe come una frattura e l’immersione nel diverso dal solito. Un lavoro che mi sta impegnando molto.
Ci mostra anche un altro progetto: foto scattate in Sicilia. Non la visione del paesaggio o la ricerca di una tradizione bensì un’alterità totale, differente e per alcuni indigesta. Le fotografie sulla Sicilia di Sam Formichetti son anch’esse “borderline”. Ci sono uomini e donne “periferici”. Macerie, rifiuti e una sortita del paesaggio dall’urbano alla campagna. Il campo Rom abbandonato, un’esposizione di oggetti bruciati che ci fanno sentire il puzzo. Sono foto di baracche improvvisate in mezzo alla sporcizia. Il senso di queste immagini è far vedere “il brutto”, per mostrare ciò che non si mostra o si vuol dimenticare. Vi è molta accuratezza nelle linee e nei dettagli. Si tratta di un bianco e nero pulito. E racconta Sam, del ragazzo di colore a San Berillo, ottimista sul futuro, che studia l’italiano e vuole iscriversi all’università. Sam lo chiarisce una volta per tutte perché fa fotografia: «La mia strada è fare il fotogiornalismo. Uno dei fotografi a cui sono molto legato è Kevin Carter».
Kevin Carter che con le sue foto ha segnato un’epoca. Nato a Johannesburg in Sudafrica nel 1960, e morto suicida il 27 luglio 1994. Lui che non era si era voltato dall’altra parte e aveva tratto forza dal pensiero di Nelson Mandela. Un bianco borghese che aveva rifiutato di essere razzista e aveva denunciato l’Apartheid. Carter aveva fatto una scelta e aveva deciso che il fotogiornalismo era la sua strada. Infatti, vinse il “Pulitzer” con la foto scattata in Sudan nel marzo 1993, passata alla storia come la foto “della bambina e dell’avvoltoio”; solo molto dopo si scoprì che si trattava di un bambino. L’immagine dal titolo Stricken child crawling towards a food camp, divenne il simbolo della carestia e dalle fame, e nel 1994, vinse il Pulitzer.
Sam Formichetti non ha scelto una strada facile, ma sta facendo i passi giusti per percorrerla sino in fondo. La sua voglia di fare fotografia l’ha trasmessa totalmente e anche la sua capacità di saper fare una fotografia fuori dagli schemi. Qui, la Bellezza sta negli scarti di vita, che sempre vita è e come tale va considerata.