Il secondo appuntamento di “IMMAGINI & PAROLE”, 2019-2020, ha avuto in qualità di ospite la fotografa palermitana – di Capaci, dice orgogliosamente lei – Ornella Mazzolla. Gli incontri rientrano nella consolidata tradizione, portata avanti negli anni da Roberto Mendolia, il curatore, e dall’Associazione fotografica “Taoclick” di cui lo stesso fa parte con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura di Taormina, retto dalla Prof.ssa Francesca Gullotta. Sponsor “FDD Taormina” di Caterina Lo Presti.
Nella nota biografica della Mazzola si legge:
«Classe ‘84, palermitana. Ha studiato presso l’Università “La Sapienza” di Roma cinema documentario, fotografia e storia dell’arte. Vincitrice qualche anno fa di una borsa di studio presso la “Scuola Romana di Fotografia”, che le ha dato l’input per approfondire da autodidatta la passione per la fotografia. Fa parte nel 2018 del progetto “égliselab”, “18 esplorazioni” a cura di Benedetta Donato, a Palermo. Il progetto è inserito nell’ambito di “Palermo capitale della cultura 2018” e vede protagonisti i fotografi contemporanei siciliani».
Quindi il pensiero corre immediato a Letizia Battaglia e a Francesco Faraci ma ciò che di prepotenza si impone alla mia attenzione, è la naturale timidezza di questa giovane donna. Timidezza vera, palpabile e sensibile che ritengo sia la sua forza sebbene a prima vista rasenti l’ossimoro. In realtà è proprio così. Ornella Mazzola ha una bellezza gentile che definirei rinascimentale nei tratti, e si mostra ammantata di timidezza. Timidezza che non la copre ma ne rivela bravura e passioni.
Lei parla, si blocca, ma ci fa entrare dentro il suo mondo. Dopo aver illustrato “Females”, Rogika le chiede – data la sua preparazione in storia dell’arte – «quanto abbia fatto tesoro dell’esperienza della luce in Caravaggio» e lei risponde che
«Si tratta di un influsso inconsapevole. La fotografia è luce e il cinema ha avuto anch’esso un ruolo importante, tanto quanto la storia dell’arte».
Su “Females” è chiara quasi istintiva. La trovo luminosa nel mostrare le emozioni che le salgono su fino a regalar lacrime. Lacrime di amore e di affetti. Ornella Mazzola racconta di sé e del suo mondo:
«Females è un racconto sulle donne che compongono il nucleo della mia famiglia. La mia famiglia vede le donne in superiorità numerica, toccano tutte le generazioni e i ruoli al suo interno. È un lavoro a lungo termine che consiste nel collezionare scene intime, dettagli, rivelazioni emotive della nostra vita. Sono momenti di calma o profonda emozione, sono momenti silenziosi e introspettivi. La Sicilia è l’altra protagonista: gli interni, le tende, i pizzi, i fiori, la luce, le ombre. Ho iniziato a fotografare le donne della mia famiglia un po’di anni fa senza avere un progetto in mente. Fotografarle era un modo per avvicinarmi a loro e viverle a una distanza accorciata, in silenzio e in punta di piedi, e forse per dare vita, tramite le fotografie, all’universo del mio immaginario in cui le ho inserite fin fa bambina. Le donne della mia famiglia sono donne siciliane, caparbie, di temperamento, ma anche fragili, con universi molto complessi. Ci sono differenze generazionali, storiche, caratteriali, emotive e tutto ciò è per me una miniera da cui non mi stancherò mai di attingere. Vorrei fosse un lavoro che mi accompagnasse per tutta la vita, come un grande album di famiglia molto personale».
Un lavoro iniziato in modo naturale, che coinvolge in una struttura matriarcale le donne della famiglia. E l’acme emotivo si tocca quando racconta della perdita della nonna, che segna la “chiusura di un capitolo” e dà l’avvio a nuovi percorsi. L’album di “Females” ha uno stile a colori ed è un misto tra reportage e messa in posa da ritratto. Lo scorrere delle immagini mi suggerisce Le tre età della donna di Gustav Klimt de1905. Il dipinto rivisita simbolicamente le tre fasi della vita femminile: l’infanzia, la maternità e la vecchiaia. L’opera è conservata alla “Galleria Nazionale d’Arte Moderna” di Roma. La narrazione della Mazzola procede in una sequenza a metà strada tra il pittorico e la sceneggiatura documentaristica, ma se volessi avere un colpo d’occhio che funga da istantanea, ricorrerei senz’altro al quadro Di Klimt, poiché il filo invisibile che li lega è il medesimo: la donna; femmina; essere umano. Datrice di vita e custode di memoria sapienziale. Metafora della Vita poiché Donna.
Ornella Mazzola precisa: «non ho mai seguito scuole. La fotografia per me è libertà. La fotografia deve far emozionare le persone».
Su quest’onda continua il suo viaggio, facendoci vedere una rassegna di un altro suo progetto, che ha per protagonista un’altra “femmina”: Palermo. La città qui viene esposta gradualmente dal bianco e nero al colore perché “è poesia vivente”. Città dei contrasti, dall’opulenza alla fame. Città in cui porti in processione il sacro, ma nei vicoli ti avvolge lo speziato odor profano.
La fotografa esprime anche il desiderio che si possa un giorno realizzare una pubblicazione in stampa da poter sfogliare, come è giusto per un testo sull’arte fotografica. Un testo fotografico autoriale a coronamento del lavoro fatto. E non paga, ci racconta dell’altro progetto portato avanti a Capaci, in uno dei suoi quartieri, il “Congo” dove ha immortalato le sue “Madunnuzze Siciliane”. Bimbe che già hanno negli occhi l’istinto della seduzione che aiuta a sopravvivere. Anch’esse prese dal popolo così come era stato per Caravaggio e prima di lui da Antonello Da Messina.
Stiamo quasi per congedarci da Ornella Mazzola ma ancora qualcosa resta da dire, ed è il valore fortemente sociale che ha per lei “Parada”, un progetto fotografico che segue i bambini e i ragazzi di Bucarest. Senza famiglia, finiti per strada o a vivere come reietti nelle fogne di Bucarest, riemergono salvati dall’attività circense. Nuova finestra sulla libertà e sull’impegno.
Rogika però non vuol lasciarla andar via, senza che abbia detto anche del rapporto speciale instauratosi con Vittorio De Seta. Rapporto nonno-nipote data l’età avanzata di De Seta, quando lo intervistò per la tesi e con cui nacque grande affetto e collaborazione. Ed è bello qui riportare quanto scrisse il giornalista Goffredo Fofi all’indomani della scomparsa di De Seta, in un articolo del 29 novembre 2011, uscito per “Il Sole 24 ORE”:
«De Seta ha diretto pochi film, sempre in difficoltà con il mondo circostante, scontento ed esigente, ma alcuni dei suoi lavori sono in assoluto tra i massimi capolavori della storia del cinema, non solo italiano. Penso in particolare alle meravigliosa serie dei documentari (a colori e senza commento parlato, contrariamente alle convenzioni di allora e di sempre)».
De Seta ha salvato nei suoi documentari un mondo che ci appare lontano, quasi mitico, e Ornella Mazzola ne ha conservato l’insegnamento, testimoniando il mondo nella sua poetica danza.