Giugno di promesse estive e ripartenza. Nel tempo del Covid-19 ci leghiamo stretti stretti alla speranza che la nostra bella stagione rischiari menti e cuori. I cuori, soprattutto, si fanno spazio con braccia aperte e desiderosi di sciogliersi in abbracci. Ce lo meritiamo un mondo migliore ma sta a noi saperlo custodire e amare. Sta a noi saperci custodire e amare, partendo dalle buone iniziative: semi preziosi per dare luogo a nuove e diverse fioriture del sapere. La fotografia è acquisizione di saperi, montati su pilastri di curiosità e passione. La fotografia è ode al Linguaggio in un ballo tra visioni e immagini. Un angolo di visuale da cui sbirciare per cogliere e raccogliere, in gesti diaframmatici, i battiti d’ali dell’esistere.
“CAMERE CON VISTA” – format collaudato, partito in sordina e cresciuto come un cavallo di razza che si vede sulla lunga distanza – ha retto e sorretto questo tempo sospeso che pian piano ha riacquistato una parvenza di lineare cronologia là dove, lo sappiamo, il tempo è esploso, scheggiato da privazioni, perdite e raccoglimenti interiori. Nato da un’idea di Rocco Bertè, il quale in squadra con Rogika, ne ha moderato umori ed esperienze dialogando con i vari ospiti, avvicendatisi in questi mesi, ha avuto certosino lavoro da parte di Alfio Barca, alla regia, e di Augusto Filistad, aiuto regia dell’associazione fotografica “Taoclick”. “JonicaReporter, diretto dalla splendida e tenace “Direttora”, Valeria Brancato, ha messo a disposizione il giornale in qualità di media partner; una finestra di approfondimento, su queste finestre che s’affacciano su camere simili a cappelli a cilindro da cui potrebbe uscir fuori un coniglio, una colomba o più semplicemente una lettura della realtà, nelle sue angolature quotidiane.
Giovedì 4 giugno e domenica 7 due donne: Ornella Lo Pò e Antonella Gallodoro; entrambe fotografe amatoriali e con la visione del mondo come un ventre di madre accogliente di Vita.
Ornella Lo Pò si è approcciata alla fotografia perché ha scelto di trovarsi “al posto giusto, al momento giusto”. Mascali, un corso con Vito Finocchiaro, potenzialità e desideri tirati fuori. Studio, applicazione. Incontro con persone che si confrontano. In “Sicilianità” è emersa l’esigenza di esprimersi attraverso le immagini in una impostazione che offre ampio spazio all’arte, dalle declinazioni Pop alle articolazioni barocche, alla ricerca di una semplicità di registro.
Induce all’ascolto, Ornella, si muove su un piano discreto e garbato in cui la voce e la padronanza del lessico mettono a proprio agio l’interlocutore. Ci ha condotto tra i vari percorsi dell’immagine e lo ha fatto con tranquillità. Tra i suoi interessi è bello sapere che suona in un corpo bandistico quindi è abituata alla condivisone delle esperienze. Tra i suoi progetti anche quello di fotografare le varie bande musicali, che sono antiche ed hanno lunga tradizione e che di solito, vengono trascurate dai fotografi. Traspare dai suoi progetti: ha un animo bello e delicato, a tratti timoroso di dire troppo o troppo poco.
La sua lettura in salsa “Still Life”, la tecnica fotografica in cui gli oggetti si animano e lanciano messaggi tra simbolismo e ironia, ha un forte impatto. L’omaggio alla pasticceria siciliana – vassoio di usi, costumi, tradizioni e storie millenarie, infarcite da altrettanti miti e leggende – è rappresentazione dell’arte nell’arte.
La scelta cromatica della “Pop Art”, è la base su cui costruire la composizione fotografica dove adagiare, vissuti, smozzicati, assaporati e narrati, i dolci tipici della nostra cultura al fine di restituire scampoli di tutto ciò che c’è dietro a queste leccornìe. Un modo per dare senso alla nostra sicilianità e far emergere il messaggio che la vita debba essere mangiata, bevuta e respirata tutta, sino in fondo. Tanto che, quando ho avuto sullo schermo l’immagine del cannolo, mi è tornata alla mente la storia sull’origine di uno dei simboli della nostra isola e che ha stretta connessione con un modo di intendere la vita stessa.
Tra le leggende più accreditate, infatti, vi è quella sull’origine nissena di questo dolce. Caltanissetta in arabo significa “castello delle donne”, Kalt El Nissa, e proprio nel periodo della dominazione araba, ogni emiro aveva il suo harem. Tra i piaceri, a cui ben volentieri il Signore si sottoponeva, vi era quello della degustazione di prelibatezze che le donne preparavano anche per trascorrere il tempo ed essere sempre viste come le “preferite. L’idea giunse e pensando agli attributi virili dell’emiro, si narra che prepararono un dolce che quantomeno nella forma rimandasse all’altro oggetto del desiderio. Ed ecco, il cannolo!
In un certo senso, una versione culinaria delle antiche fallofòrie in cui si portavano in processione i simulacri fallici, simboli di fecondità; collegati alle radici contadine in un misto tra paganesimo e religioni monoteiste che la Sicilia ha sempre conservato.
Ornella Lo Pò ha proseguito nel percorso, facendoci puntare lo sguardo anche su come la “Still Life” – che a mio avviso è l’ambito a lei più congeniale dove dà il meglio della propria creatività mediante rappresentazioni compositive e cromìe – possa avere messaggi legati sia al quotidiano, vedi il gioco tra il cucchiaio e le forchette oppure essere uno tra i numerosi modi per incidere sulla società. Emblematico, è il mappamondo infilato dentro un sacchetto di plastica oppure il pesce con la cannuccia. Cifre stilistiche di un mondo immerso in un consumo globale di oggetti che priva gli esseri viventi della loro attestazione identitaria.
Una “sicilianità” riproposta anche negli altri progetti, in stretta sinergia con il mondo dell’arte e dei luoghi visitati, offerta mediante il Bianco e Nero, per l’emersione dei dettagli delle statue o dei quadri, in un gioco caravaggesco della luce. Oppure reportage che hanno come comune denominatore la narrazione delle persone che fanno vivi quei luoghi attraverso il lavoro nei vigneti e la benedizione delle fatiche con una festa di sapori e amicizia. Momenti imbevuti di un comune sentimento religioso. La sensibilità di Ornella ha lasciato ampio spazio alle figure femminili dei Vangeli, là dove nella tradizione sinottica ufficiale esse sono relegate quasi a un ruolo ancillare. Basti leggere, ad esempio, taluni apocrifi per farsi un’idea di donna, fondamentale nel viaggio di Gesù e in quello cristiano successivo. E con l’intuito femminile, lei ha colto quel ruolo di Donna, proprio durante le rappresentazioni della Settimana Santa a Linguaglossa.
Le donne, la Terra, “Mama Africa” son tornate, domenica 7 giugno, con Antonella Gallodoro e la sua “Missione Togo”. Video e foto da reportage, nate prima di tutto per documentare a fini conoscitivi interni, ma che ci hanno fatto entrare dentro mondi che spesso noi occidentali sconosciamo poiché lontani dai circuiti turistici tradizionali.
Antonella ha avviato il percorso in missione, come medico chirurgo estetico, quattro anni fa, insieme a un gruppo di colleghi. Va da sé che chi la conosce, sa bene che tra lei e il marito Alessandro Licciardello, già ospite di “CAMERE CON VISTA” non si sa chi sia più folle. La loro, però, è una follia che rischiara e porta solo il Bene e l’aiuto solidale. Ci vuole forte spinta emotiva e ferrea volontà, per recarsi in luoghi e non per fare le vacanze. Anzi, Antonella mette a disposizione una parte delle sue ferie per recarsi in Togo e sebbene quest’anno, causa virus, la missione sia stata rinviata, lei e i colleghi di “Aicpe onlus” hanno spostato la missione a sostegno degli ospedali italiani nella lotta al Coronavirus, con una raccolta fondi, che ha messo a disposizione dell’ospedale di Piacenza quattro respiratori.
Ma torniamo al Togo, all’Africa e al desiderio di un impegno diverso, dove mettere a disposizione le competenze della nostra medicina e della nostra chirurgia è un enorme atto di donazione. Il luogo è Afanyagan. Un villaggio, non una città, in una mescolanza di tradizioni animiste con tanto di riti Voodoo, guaritrici e presenza cristiano-cattolica, con una minoranza islamica. Cultura del fare, da ciò che si ha a disposizione, in un luogo ricco, per fortuna, di falde acquifere e dunque aperto alla coltivazione di frutta e verdura. Politicamente sotto controllo, qui le donne hanno ruolo portante poiché è una comunità a fondazione matriarcale, con insegnamenti che dalle nonne, passando dalle mamme, si trasmettono alle bambine. Tuttavia vi sono anche i risvolti negativi; la donna, determinata nel desiderio di emancipazione, viene ancora considerata come oggetto da parte del maschio con il ricorso alla violenza per assoggettarla. Antonella Gallodoro, durante la diretta, ci ha condotto all’interno dell’ospedale in cui si trova ad operare, soprattutto i bambini con problemi maxillo facciali o per interventi alla mano. L’intento è stato quello di mostrarci che il «loro poco, è invece il loro molto» e che il pensiero all’occidentale va rimesso in discussione, poiché bisogna rendersi umili nell’atto di entrare in contatto con queste persone. Ha mostrato la vita attorno all’ospedale o nei dintorni: dalla buvette in cui si ritrovava la sera, che lì arriva presto, per rilassarsi. E con il desiderio ancora non esaudito di fotografare la Luna d’Africa, galleggiante in un cielo sciato di stelle. Ci ha fatto godere dei colori delle stoffe che, se ci passi sopra un fissante, possono diventare quadri da appendere. La fotocamera del suo cellulare a catturare le chiacchiere delle comari, che sono ovunque, e le loro risate oppure lo “street food” nel villaggio, perché noi qui a Sud, anche più a Sud, siamo tutti parenti ed hanno ragione quando ci dicono: «Ehi cucino ho merce bella per te!». Ci ha mostrato sorrisi bianchi su facce di donne che somigliano a pergamene antiche, tante sono le espressioni rugose, oranti su ogni lembo di pelle. Magari per noi saranno banalità, ma lì puoi trovare uno stanzino che diventa sartoria per l’orgoglio di chi l’ha messo in piedi oppure gente con i telefonini “4G” e già più avanti di noi. Antonella, emozionata e con la voglia di dire il più possibile di questa esperienza umana e sociale, ci ha fatto vedere le mamme che hanno la ‘truscìa’, a mo’ di marsupio per portare i bambini, e che le nostre aziende hanno copiato da loro, non vi è dubbio. Ciò consente loro di lasciare le braccia libere di muoversi e tenere protetto, a contatto con la madre, il bimbo. Questi bimbi, dagli occhi di cioccolato fondente, bellissimi, dalle labbra disegnate alla perfezione e dai sorrisi che trascinano alla tenerezza e all’allegria, li ha fissati nelle immagini; tra selfie concordati e rubati dagli stessi piccini, impadronitisi del suo cellulare. Lei che, quando rientra, è spaesata e sotto l’effetto del “mal D’Africa”; lei che quei bimbi vorrebbe portarseli con sé ma li ha sempre nel petto. Relazioni umane, amicizia, scambi di auguri a distanza, in questo la tecnologia è anch’essa utile e solidale. Colori accesi tra tessuti e danze di ringraziamento. Colore colore colore! Accettazione della vita senza doversi chiedere sempre “perché” vada in un modo piuttosto che in un altro. Un insegnamento che queste persone hanno offerto a lei e ai colleghi. Esperienza che trasforma e arricchisce, con la speranza di poter far presto, un nuovo viaggio, in Togo. Noi, invece, attendiamo, “la mostra matrimoniale” di Alessandro e Antonella”; anche da questo si capisce la complicità di una coppia.
Una coppia, anche quella del 4 e 7 giugno: Ornella Lo Pò e Antonella Gallodoro. Entrambe, attraverso i loro “sguardi di donna”, ci hanno donato vista speciale sulla profondità dell’essere umano.