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sabato, Settembre 7, 2024

“Le confessioni di una donna” all’Odeon di Taormina: tra un’intervista e la proiezione del film

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Foto di Lisa Bachis

Sabato 28 agosto all’Odeon di Taormina è tornato a farsi ammirare “Le confessioni di una donna”, film del 1928 di Amleto Palermi con le eccezionali musiche dal vivo di Fabio Lannino alla chitarra; Diego Spitaleri al pianoforte; Vito Giordano al filocorno e Francesco jr Foresta alle percussioni e marimba.

Ancora una volta, gli appassionati del genere si sono ritrovati a gustarsi nota dopo nota, fotogramma dopo fotogramma, un’immersione nel cinema di alto livello, accompagnata da musiche di alto livello. Ciò nonostante la lunghezza del film. Il pubblico infatti è rimasto letteralmente inchiodato ai gradini dell’antica cavea sino a sciogliersi in uno scrosciante e meritatissimo applauso verso tutti coloro, dal personale della Fondazione Taormina Arte Sicilia ai musicisti del Brass Group, i quali ce l’hanno messa tutta per rendere magica la serata.

 

Prima dello spettacolo però, l’intervista a Lannino e Spitaleri – Bisogna che io faccia un passo indietro. Rispettosa non solo delle norme anti contagio ma anche delle mie, non scritte, sono arrivata prima per capire che clima ci fosse, salutare gli amici e far due chiacchiere fuori scena.

La buona sorte mi ha fatto subito incontrare Fabio Lannino e Diego Spitaleri, “coppia di fatto” per amicizia e collaborazione artistica. Avevano da poco finito di provare ed erano prossimi ad andare a cambiarsi per l’evento. Dunque come diremmo noi in siciliano, «a morti subbitanea» o «a siccu», li ho coinvolti in una gradevolissima intervista, che merita di essere riportata a mo’ di capitolo introduttivo alla proiezione del film stesso. Eviterò di narrarvi i retroscena dell’intervista ma vi erano vari testimoni tra cui Daniela Di Leo e niente… Uno spasso!

 L. B.: «Spitaleri-Lannino, due nomi una garanzia, di nuovo a Taormina dopo più di un anno e mezzo. Felici?».

 

DIEGO SPITALERI

Ma perché c’è stato il Covid se no saremmo stati qui già l’anno scorso.

 

L.B.: «Progetti su Taormina nel futuro?».

 

FABIO LANNINO

Sembra ne sia nato uno da qualche minuto, per il momento è solo un’idea che mi ronzava in testa da tanto tempo e probabilmente riusciremo a portarla in fase esecutiva; è quella di unire la nostra capacità di improvvisazione del jazz, i nostri suoni con una eccellenza di questa città, l’Orchestra a Plettro. Ci piace l’idea di poter rivoluzionare il modo in cui suonano e il modo in cui noi suoniamo e trovare un punto di incontro. Coinvolgeremo anche il nostro Maestro Vito Giordano che è presente qui stasera, ottimo arrangiatore e direttore, e troveremo sicuramente il modo per il prossimo anno di tirar fuori un nuovo progetto. Seguendo in fondo ciò che abbiamo fatto sino ad oggi, seguendo anche le intuizioni di Ninni Panzera con le musiche dal vivo de “Il Fantasma dell’opera” e stasera de “Le confessioni di una donna”. Qui abbiamo portato “Dante in Jazz”. Il nostro è un team di scrittura, basato sull’attività che facciamo io e Diego e che si arricchisce di collaborazioni come quella con Marco Betta, direttore artistico del Massimo di Palermo, e con Vito Giordano… Un team di produzione musicale, ed abbiamo sei «spettacoli di sincronizzazione» dove ci sono o attori che recitano o ci sono dei film che passano. Mancava lo stimolo che proviene dall’unione di suoni così diversi.

 

DIEGO SPITALERI

Per riallacciarmi a quanto detto da Fabio, la musica è un grande flusso, un grande fiume che poi si divide in vari rivoli che poi si ricongiungono e quando la musica è fatta serenamente, seriamente ed onestamente c’è sempre il modo di accostare realtà musicali che apparentemente sembrano diverse. Non c’è il minimo dubbio che si potrà trovare una chiave di lavoro comune al nostro modo di far musica e a quello dell’Orchestra a Plettro. La storia della musica è piena di commistioni, le più improbabili, che poi si sono rivelate idee vincenti.

 

L.B.: «Siete tornati operativi nonostante la pandemia e adesso siete impegnati anche allo Spasimo di Palermo».

 

DIEGO SPITALERI

Eh sì, stiamo proponendo alcuni degli spettacoli come “Il fantasma dell’opera” che replicheremo in seconda uscita allo Spasimo il 5 settembre, ci sarà “Dante in jazz” e poi partirà l’attività invernale, nel rispetto delle norme anti covid e pandemia permettendo. In questo, al momento, siamo molto cauti.

 

FABIO LANNINO

La settimana scorsa è partito un nuovo progetto dedicato a Sciascia, in occasione del centenario della nascita, con Gigi Borruso e Stefania Brandeburgo. Io, Diego e Gianni Gebbia abbiamo scritto le musiche su un noir di Sciascia “Il cavaliere e la morte” ed è stato divertentissimo, devo dirti, perché c’era questa narrazione molto incalzante, molto ritmata quasi da serie Netflix.

 

L. B.: «Un’ultima domanda che sto rivolgendo un po’ a tutti. Agli addetti ai lavori e ai professionisti del mondo culturale. Che consiglio dareste, per continuare a fare, quello che fate e soprattutto per invogliare a farlo?».

 

FABIO LANNINO

Allora, se parliamo di consiglio da dare alle nuove leve devono studiare, non ci sono scorciatoie, poi devono studiare e quando hanno finito di studiare devono ricominciare a studiare. Esattamente quello che facciamo noi a 60 e a 57 anni. Studiare e rendersi conto di quale sia il contesto in cui viviamo, che è cambiato radicalmente. Smetter di pensare che il musicista è “apparire”, come oggi accade nella maggior parte dei casi. Oggi, i musicisti non sono più valutati per quello che fanno in musica ma per come appaiono, mentre la musica è tutt’altro: è sostanza della musica stessa, della scrittura e della composizione. Questa è la strada che alla lunga rende e dà soddisfazioni. Mentre quando appari, è solo quel fuoco momentaneo, fatuo, in attesa che arrivi qualcosa o qualcuno che è più bravo di te ma qui non c’è speranza; mentre la strada lunga, tortuosa, della lunga preparazione e dell’esser bravi anche a capire che cos’è che oggi funziona, è quella che dà i risultati.

 

DIEGO SPITALERI

E poi quello che dico sempre io, ci vuole il massimo rispetto per la musica, perché la musica ti richiede sacrificio e soprattutto rispetto. Quando la musica non la rispetti prima o poi ti punisce.

 

“Confessioni di una donna”: il film e l’orchestrazione – Un film muto dal sapore classico, di un raffinato Bianco e Nero, richiedeva musiche rievocanti le morbide atmosfere del periodo tra Liberty e Belle Epoque in una cornice languida, sognante, ma non eccessivamente melensa. Il genere è quello del melodramma, dall’ottima sceneggiatura e dalla grande resa interpretativa di ciascuno degli attori. Il ritmo non genera stanchezza ma trasporta sino alla conclusione da «happy end». Una bella storia che vede una buona regia e una buona fotografia, ispirata anche dal percorso che cinema e fotografia fanno insieme, divenendo generi essi stessi, e andando a costituire un nuovo bacino oltre a quello letterario classico. Oggi lo definiremmo un film di «genere romantico», con un ottimo cast che mette in luce già ai suoi esordi il cinema italiano.

 

Le musiche – I brani e gli arrangiamenti, composti da Diego Spitaleri e Fabio Lannino, frutto di un lavoro certosino, non potevano che attingere alla tradizione jazzistica, pur tenendo fede a un nucleo di improvvisazione e tributi riarrangiati come ad esempio Wish You were here, perfetto per legare la musica alle immagini dei due amanti tormentati. Un dono che già era stato fatto a Taormina il 30 dicembre del 2019, in una sinergia di intenti tra la Fondazione Taormina Arte Sicilia e la Fondazione The Brass Group.

“Le confessioni di una donna” del 1928, per la regia di Amleto Palermi, ha come protagonisti Augusto Bandini, Maria Catalano, Gemma De Ferrari, Americo De Giorgio e narra le vicende di una donna, tra tormenti e tradimenti. Uno scorrere di sequenze attraverso la Sicilia.

Palermo, dove la spiaggia di Mondello mostra gli svaghi della gente comune e della nuova borghesia che s’accompagna alla gattopardiana nobiltà. Riprese eccellenti dell’Antico Stabilimento Balneare dove si sospira, inseguendo il mito dei Florio e della ‘Targa’. Qui, la velocità dell’automobile gareggia con la potenza della locomotiva a vapore.

Monreale, Agrigento, Siracusa, Taormina. I luoghi sono il collante che detta il ritmo del film e richiama i morbidi ed eleganti movimenti delle dita sul piano di Diego Spitaleri e del filocorno di Vito Giordano, in un incastro al millimetro con la chitarra di Lannino e le percussioni di Foresta. Sussurri che completano ed enfatizzano labbra serrate, pose sfacciate o svenevoli. Occhi di brace o abbandonati al sospetto in alternanza alle passioni: amore, cupidigia, dolore, pena e volontà del riscatto. Una partitura musicale che collima alla perfezione con l’impostazione diaristico-confessionale. Il cineromanzo che a sua volta aprirà la strada al fotoromanzo.

 

Le ispirazioni del Grand Tour si fanno vive nei luoghi ripresi – Bellissima l’idea di non usare i luoghi come semplice sfondo ma renderli protagonisti di un autentico Grand Tour. In questo, Palermi è stato quasi un precursore del documentario, ambito che era stato sino ad allora riservato ai «viaggiatori». In mezzo ai bozzetti e alle diapositive. Località rese celebri da Goethe e da Von Gloeden. Tra questi luoghi, quelli di Taormina: il San Domenico, Villa Caronia (La casa rossa) e Isola Bella, che appare ingigantita sullo schermo.

Originale anche la scelta del tour in treno, valevole come moderna promozione turistica di un’isola, che spingeva il visitatore, a ricercare e a vivere la gamma completa di stati d’animo e passioni contrastanti, spinto dalla promessa di paradisi esotici, dettati dalla moda del periodo.

 

Palermi anticipa i tempi e introduce nuovi linguaggi – Il film risponde all’esigenza di Palermi di raccontare, in una spinta tra il verghiano e il decadente, i luoghi delle radici usando registri nuovi e sperimentando un linguaggio, in debito nei confronti del teatro.

Ciò perché la sua formazione affonda nel giornalismo e nella scrittura di copioni teatrali, i quali ebbero il merito di sbarcare sui palchi nazionali nonostante un breve periodo nero, nel 1925. Il kolossal storico che richiedeva troppo dispendio di energie e tanti soldi decretò il flop del suo “Gli ultimi giorni di Pompei”, ultima grande produzione del cinema muto italiano che non venne ultimata.

Eppure l’incredibile capacità di Palermi nell’afferrare il momento, è offerta dalla conversione al sonoro con il primo film parlato in italiano, “Perché no?”, prodotto dalla fabbrica dei multipli e delle pluriversioni che, non essendosi ancora sviluppata la pratica del doppiaggio e del sottotitolaggio, fu portata a compimento nel 1930 dall’americana Paramount, nella località francese di Joinville-le-Pont. Il regista si occupò a lungo di cinema e lo fece con interpreti del calibro di Emma Gramatica, Armando Falconi, Isa Miranda, Angelo Musco, Nino Besozzi, Sergio Tofano, Vittorio De Sica e Fosco Giachetti.

 

 

 

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